Alambicco vs Colonna AKA Haute Cuisine vs Fast Food?

Se siete curiosi della risposta, vi invito a restare sulla pagina…

Negli ultimi tre anni mi sono capitati davanti un certo numero di strumenti di distillazione, di diverso formato, ma è indubbio che qui, nelle Antille Francesi, il sistema di distillazione continuo a colonna singola, detta non a caso “Colonne Créole”, sia quello più utilizzato, nonostante la presenza sempre più consistente di sistemi discontinui o ibridi di differente provenienza anche sulle nostre isole.

Una colonna di distillazione di tipo “Créole”, è singola ma divisa in due zone, épuisement e concentration (quest’ultima sempre in rame), ed è dotata, in alto rispetto alla cima della colonna, di uno “scalda-vino” (chauffe vin) che porta il fermentato (vésou) ad una temperatura tra i 40 ed i 50°C, iniettando il liquido caldo in cima alla fase di “épuisement”: direttamente mediato sistemi di distillazione “Charentais”, questo chauffe vin non è altro che un grande barilotto di rame, attraverso il quale il fermentato subisce un primo riscaldamento repentino, abbassando notevolmente lo sforzo in vapore che poi farà la colonna per trovare l’equilibrio e frazionare, e, ulteriormente, il lavoro del condensatore-scambiatore, che è l’altro barilotto collegato alla colonna, sui tre quarti verso l’alto della sua lunghezza, che, grazie ad un raffreddamento e ad una reiniezione in zona di concentrazione del distillato, si occupa di abbattere frazioni indesiderate e rimettere il liquido in gioco. Nei primi modelli di colonna créole, questo secondo sistema non era compreso, e spesso lo chauffe-vin serviva anche alla seconda funzione, oltre che a nutrire la prima fase. Proseguendo nello schema di funzionamento, la zona di “épuisement” riceve nella parte inferiore della colonna il vapore acqueo proveniente dalla caldaia e nella parte superiore il fermentato (vésou) da separare sui piatti. Il vapore sale attraverso i piatti (a calotta oppure sieve) e fa ribollire il vésou discendente. Facendolo gorgogliare, “esaurisce” le frazioni alcoliche (e aromatiche): nella parte inferiore della colonna, intanto, il liquido esausto, o vinasse, esce dalla base. Sopra la zona di épuisement troviamo la zona di concentrazione, attraversata dal vapore proveniente dalla zona di épuisement, arricchito di frazioni alcooliche e principi aromatici. Questo vapore fuoriesce dalla parte superiore per raffreddarsi nel condensatore-scambiatore, e viene rimesso in gioco, così da estrarre il massimo delle frazioni: alcuni sistemi, come detto, non sono dotati di questa capacità reiniettiva, soprattutto se datati, per cui si deve assolutamente centrare un’ottima fermentazione che non crei eccesso di composti aromaticamente sgradevoli e difficili da eliminare, anche perché, sia in AOC Martinique che in IGP Guadeloupe, la rettifica (seconda distillazione volta ad aumentare la concentrazione di alcol), è vietata. Oltre al condensatore-scambiatore, troviamo abitualmente un secondo condensatore a fascio tubiero, collegato all’uscita di colonna e allo spirit safe in colonna, da queste parti di libero accesso.

Molte altre sono le regole dei due cahiers de charge, e le caratteristiche di ciascun impianto, ma, sostanzialmente, il funzionamento è lo stesso: cosa rende allora questo sistema continuo da due secoli lo strumento di distillazione ideale a queste latitudini? Sicuramente il fatto che permetta di coniugare praticità, velocità, una discreta precisione e la portata, anche, se negli ultimi anni, in questi luoghi, stiamo assistendo al ritorno delle distillazioni discontinue degli albori: l’alambicco discontinuo oppure ibrido rappresenta certamente un riavvicinamento storico al “Rhum Z’Habitants” di ottocentesca memoria, e, in tutti i casi in cui è utilizzato, oltre al recupero storico, ne si dichiara la scelta anche e soprattutto per una rivendicata maggior precisione e pulizia nella selezione del profilo aromatico del rhum di uscita. Questo è sicuramente vero, ma solo nel caso in cui la fermentazione che si spoglia ed in seguito si concentra sia una fermentazione ben svolta, ricca di alcool interessante e aromaticamente rispondente al ritratto che vogliamo esprimere: sbagliare una fermentazione non ci concede di salvarci in seguito, nemmeno con una doppia distillazione in alambicco.

Alla domanda, allora, sulla superiorità o meno di un sistema o dell’altro, mi sento di rispondere che un buon distillatore preferisce sicuramente l’alambicco, perché è un sistema più semplice da utilizzare, così può concentrarsi sull’alcool che esce e su dove tagliare, ma sarà intrigato da un sistema continuo, dove in realtà ci sono molte più variabili, dove le frazioni sono distribuite su ogni piatto, ma non è vero che non si possa frazionare, anzi, è una operazione che, pur se non facile, perché leggere il tracciato dell’alcool in uscita richiede intuito, conoscenza delle frazioni e dello strumento e una buona dose di coraggio, consente di portare a casa prodotti di eccellente qualità organolettica.

Sicuramente è più facile frazionare su colonne di piccola portata, ma, anche su colonne grandi, con una certa attenzione, si riesce ad effettuare una efficace distillazione frazionata, e separare foreshots, teste, cuore, code qualitative e code da scartare: la temperatura del piatto di controllo, posto in cima alla fase di épuisement, della base e la temperatura del condensatore, sono un grande aiuto: l’altro grande aiuto sono il naso ed il palato, proprio come in una distillazione sull’alambicco. Se abbiamo fatto un buon lavoro di fermentazione, l’odore di alcool buono lo si sente già all’uscita dello chauffe-vin: le prime frazioni a staccarsi, tra i 56 ed i 78°C sul piatto di controllo, saranno foreshots (metanolo), che si lascia andare via (anche se qualcosina resta dentro) e teste, e si possono facilmente separare, qui in Guadalupa, dove non è obbligatorio un sigillo doganale per ogni serbatoio di raccolta, in un bidone a parte, sino a che, nella nostra lettura non cominciamo a sentire che la parte pungente e verde vira verso una più ampia dolcezza, e sentori floreali e fruttati, in flusso costante, anche se a distanza l’uno dall’altro: a quel punto possiamo cambiare serbatoio di raccolta, perché siamo sul cuore, e la temperatura si aggira tra i 78 e gli 82°C, e normalmente questa, se abbiamo fatto una buona fermentazione, è la frazione più consistente, nel rhum agricole, insieme alle code. Possiamo cercare a questo punto di rallentare, se vogliamo essere più precisi, o accelerare, se vogliamo entrare più velocemente nell’ultima fase, quella delle code, che io divido in code 1 e code 2: le code 1 possono rientrare nel mio distillato, se la loro carica aromatica è pertinente allo scopo. La temperatura arriva a superare l’azeotropo, e ad un certo punto non tutto risulta interessante, perciò è importante separare bene, su un terzo bidone le code che ci sembrano ancora buone, e serviranno successivamente per altri scopi, fino a che nulla di ciò che assaggiamo è piatto, spiacevole e infine amaro. Le code non interessanti usciranno dal fondo della colonna insieme alla vinasse.

Per quanto riguarda i due bidoni che ho messo da parte con teste e code 1, che hanno sicuramente ancora interesse aromatico e un buon quantitativo di alcool all’interno, le posso conservare ed utilizzare successivamente per la botte.

Come avrete capito, non è affatto comparabile al “fast-food”, e non è un sistema facile da utilizzare, se si vuole renderlo efficace e preciso e non ci si limita a lanciarlo e raggiungere l’equilibrio: lo paragonerei piuttosto a quella che chiamano “nouvelle cuisine”, perché è un sistema diverso ed efficace per esaltare la materia prima canna da zucchero, senza rinunciare alla qualità.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close