È un dato di fatto: nella produzione del rhum agricole, che rappresenta oggi meno del 10% della produzione mondiale di rum, poche cose sono cambiate dagli inizi del 1900 per quanto riguarda l’esplorazione della materia prima dalla quale il rhum agricole viene fabbricato: il succo fresco della canna da zucchero.
La canna da zucchero, infatti, a partire dal momento in cui si è compreso che essa poteva essere ibridata sessualmente (fine 1800), per arrivare ad oggi, è stata indagata ed esplorata, attraverso migliaia di ibridi sempre più performanti, ma in un solo senso, quello (ricercato per la produzione di zucchero) dello yield, e conseguentemente della resistenza a funghi, parassiti e malattie, collegati all’ampiezza della fase stagionalmente “fruibile”. Un très bon plan per quanto riguarda appunto la produzione di sucrerie, ma troppo limitato se invece si parla, come accade nei tempi moderni, di utilizzo per creare rum agricole sempre più vocati all’unicità, alla caratterizzazione del terroir ed al lavoro di cesello in fermentazione e distillazione.
Al giorno d’oggi, infatti, per fare un rhum agricole che si distingua dagli altri, ad esempio una piccola produzione con una forte identità, come può essere Marie Louise o ancora Rhum Rhum, la cosa migliore che possiamo e riusciamo a fare è, indipendentemente dall’ibrido utilizzato, cercare di avere il controllo più completo possibile sulla filiera, dai campi alla bottiglia: peccato che solo in qualche caso particolare questo possa essere vero.

Il primo step è, come mi è già capitato di dire nel precedente articolo, quello agronomico: a parte alcune realtà, come quella già citata e poche altre, oggi, nelle Antille Francesi spesso è poco compreso il fatto che quello che si mette nei campi (in maggioranza concimi NPK in dosi consistenti, soprattutto del primo elemento, l’azoto) ce lo si ritrova nel bicchiere, soprattutto se in fermentazione (maggiormente entro le 48h) ed in distillazione (maggiormente colonne créole) questo aspetto non viene controllato, perché la canna da zucchero è una graminacea, una grossa spugna: concomitantemente con la direzione presa dai laboratori di ibridazione, le varietà in uso oggi sono sempre più ricche in fibre e cellulosa, quindi sempre più “attrattive” e “contenitive”, ed a buona ragione, per minerali e nutrimenti provenienti dal suolo. In cosa si riflette tutto questo? In rhum bianchi con una forte spinta alcolica e pungenza anche ad un grado non alto, a causa dell’abbondanza di alcoli superiori generati durante una fermentazione relativamente corta, tumultuosa, ad alte temperature, con un timbro prettamente erbaceo e, se lievemente fruttato, portatori sani delle note di mela verde delle aldeidi, e di ananas e banana proprie degli esteri volatili. Un bouquet che caratterizza moltissimi rhum agricole odierni, con caratteristiche che possono privilegiare l’uno o l’altro aspetto, e con un grip alcolico che spesso impedisce una degustazione corretta e gradevole, ma soprattutto con poco futuro sul palato ed in bottiglia, tanto meno in botte. Il problema è che poi si rischia di pensare che un buon rhum agricole sia così, e che si crei un falso ritratto comune, mentre può (potrebbe) essere molto più complesso, aromaticamente importante, delizioso e suadente al naso ed in bocca, con reminiscenze precise legate al luogo in cui la canna da zucchero è coltivata, ed a come lo è, alla fermentazione ed alla distillazione: insomma un agricole buono e tracciabile, legato alla sua origine e degno del suo nome.
Una canna da zucchero coltivata infatti con zero o pochissime aggiunte, ben tagliata e depagliata, la ricerca di temperature di fermentazione più moderate, di stream di lieviti coerenti e moderni, di un tempo più dilatato e di un processo più tranquillo, oltre che di una distillazione “ragionata” in colonna o alambicco, sono ancora modi di lavorare troppo rari, ma che migliorano visibilmente e sostanzialmente un prodotto che, per me, è un prodotto talmente nobile e genuino, talmente interessante e unico, che deve finalmente uscire dall’ombra pesante di gemma laterale della filiera dello zucchero dalla quale non si è mai abbastanza scagionato.
Nel mondo dell’orzo utilizzato per la produzione di malt e grain whisky, ormai da molti anni si esplora e si produce un cereale adeguato alla produzione di quell’alcool: si cura l’aspetto della varietà, della concimazione adeguata dei campi, della capacità di quella varietà di contenere e trattenere azoto, del contenuto di proteine, del peso specifico e dell’assorbimento, insomma si ha un vero controllo della filiera, completato, oggi, da lieviti appositamente disegnati per quel distillato e da una distillazione coscienziosa, che rappresenta il tocco finale al ritratto unico e reale di ciascuna distilleria. Spero che in un futuro possa essere lo stesso, e che avremo ibridi di canna da zucchero atti alla produzione di alcool di qualità, una agronomia virtuosa, e persone coscienti che la zona fragile della produzione è quella della fermentazione, che privilegino stili e lieviti diretti alla qualità del distillato finale, e non solo al grado alcolico raggiunto dal singolo batch, che terminino il lavoro di progettazione del loro spirito con una distillazione consapevole e coerente con il rhum agricole che vogliono disegnare.
Il rhum agricole è, per tutti questi motivi, un territorio ancora vasto da esplorare, nel quale è possibile davvero impegnarsi per creare veri margini di miglioramento che siano utili a tutti coloro che sono all’ascolto: per me è un onore ed un piacere percorrerlo ogni giorno e portare, nel mio piccolo, aiuto e conoscenza.

