Dicembre 2021

Questo mese ho degustato per voi…

Appleton Hearts Collection, 1984 e 2003

Il 6 Dicembre scorso, in una serata esclusiva che ha raccolto attorno ad uno Zoom Meeting appassionati e blogger da tutto il mondo, Joy Spence, Master Blender e beating heart di Appleton Estate, insieme a Luca Gargano, ha presentato il secondo nucleo del progetto Appleton Hearts, una release come sempre in edizione limitata (ed in prima mondiale) di due 100% pot still rum, distillati nei Forsyths di Appleton, e messi a riposo negli chais di Nassau Valley: un old man di ben 37 anni ed il giovincello della situazione, appena giunto alla soglia della maturità. Trattandosi di invecchiamento tropicale, comprenderete bene come, anche questa volta, si trattasse di due creature eccezionali, pur se eterogenee.

Avvicinare i due estremi della Collezione, il più anziano e, per ora, il più giovane tra i cinque imbottigliamenti partoriti, mi è sembrata l’opportunità migliore per poter ritrarre in maniera puntuale entrambi: ringrazio Joy e Luca per l’invito e per avermi “indicato” la strada più corretta per poter degustare questi due rum unici.

Le Small Bottles da 20 cl. per la serata sono state gentilmente offerte da Velier, mentre i rum a “grandezza naturale” sono usciti sul mercato in questi giorni, sempre in tiratura limitata, nelle classiche bottiglie scure da 70cl (1800 bottiglie e 650 small bottles per il 1984, 5000 bottiglie e 1280 small bottles per il 2003). Consueta etichetta Appleton Hearts Collection, con le informazioni complete riportate fedelmente, ed il look esclusivo ed un po’ retro: spessa carta color panna serigrafata in blu, nero e oro, con il logo Appleton in trasparenza.

Ed ora, bando ai preamboli, veniamo alla degustazione: per esser fedele alla natura dei distillati e poterli meglio narrare, è stata svolta in più riprese, in bicchieri snifter Bormioli e nell’arco di tre giorni, a latere della prima degustazione fatta in linea durante la serata del 6 Dicembre. Ho inoltre seguito l’ordine di degustazione suggerito da Joy Spence durante la diretta.

Appleton 2003, 18YO, 63%vol., 688 g/100 LAA congeners, small bottle n. 38

Appena diciottenne, ma, in linguaggio tropicale, almeno cinquantenne, questo rum dall’apparenza dorata e rutilante, quasi natalizia nel bicchiere, è uno di quelli che si potrebbero pubblicizzare come “la bottiglia ideale per una serata tra amici”; la gradazione non timida è perfetta per esaltare una palette che, al naso, si rivela fortemente giamaicana e decisamente Appleton: un vaporoso sbuffo floreal vinilico lascia spazio a tanta spezia dolce e piccante, poi al marchio di fabbrica, la scorza d’arancia amara, che diventa marzapane e cioccolato alla nocciola, per chiudere in note empireumatiche piuttosto secche e sulfuree. Lungo, avviluppante, deciso, ma, al contempo, molto allineato alle note tipiche di distilleria. Al palato, la prima sensazione è di estremo calore, che anestetizza per qualche minuto il sorso. Dopo una ventina di minuti torno all’attacco, e ritrovo una gradevole acidità di agrume grande, che si impossessa dei lati della bocca come della mia salivazione, lasciando il centrocampo ad una massa più scura, di cioccolato piccante, poi alla ciliegia sotto spirito, al pan di spezie, all’amaretto, ed al balsamico della propoli che vira, in coda, verso la stessa sensazione di colla vinilica del debout. Un malleus martialis potente, preciso, senza attenuanti. Degustato con una stilla d’acqua svela note ancora più speziate e piccanti, ma si ferma decisamente prima, alla ciliegia sotto spirito.

Verre vide: leggero floreale secco, cannella, nota vinilica a chiudere. Old boy.

Appleton 1984, 37YO, 63% vol., 2197 g/100 LAA congeners, cask da 3391 a 3399 (la mia è la bottiglia numero 143)

Il vegliardo in questione, 37 lunghissimi anni di paziente attesa passati nel suo ligneo vascello giamaicano, per l’equivalente di un quasi secolo europeo, mi è sembrato fragile e insieme pesantissimo nel bicchiere. Si tratta del più vecchio rum da pot-still completamente invecchiato in clima tropicale che sia mai stato imbottigliato.

Colore dell’oro antico, brunito dagli anni, come le mostrine di un vecchio condottiero, occupa con garbo, ma senza timore, il suo spazio di vetro. Mille gocce scendono dalle pareti verso il centro, e dal vertice del bicchiere si liberano, con la dovuta lentezza e parsimonia, volute di petalo secco di rosa, cherosene, the nero, pepe, chiodo di garofano, liquirizia, caucciù e torba medicinale, in un crescendo filmico, seduttore e lunghissimo. Uno dei nasi più eleganti (ed intriganti) degli ultimi tempi, mi dico, forse proprio per la singolare lentezza nel dispiegarsi.

Al palato, capisco subito che il tempo di un giorno intero non è stato ancora sufficiente perché si aprisse, e che forse potrei esser delusa: il tannino, la quota di amertume del cacao amaro e dell’affumicatura sono oltremodo presenti, eppure lasciano intravedere altro da lontano. Dopo un ulteriore giorno di attesa, arrivano, in sordina ma senza negarsi, l’amaro d’altri tempi del rabarbaro, ancor meglio della caramella al rabarbaro, il medicinale ed il balsamico del pino, poi ancora il bois de rose bruciato, la cera, il caucciù ed il fumo di lampada a petrolio. Contenta di aver atteso, stavolta non sento di dover aggiungere acqua: sono sinceramente ammaliata, come lo sono stata da subito, dall’energia strana e palpabile di questo rum completamente fuori dai canoni, dal volto d’angelo e dall’anima nera, tanto diversa da quella in qualche modo “classica” e understated del suo compagno d’avventura. Una tale estrazione di aromi è sicuramente dovuta ai tanti anni in botte, materiale sulla cui qualità, in Appleton, non si fanno sconti, poi al clima ed all’evaporazione, ma anche all’eccezionalità dell’animale che in quella botte si è voluto intrappolare. I 63% vol. qui non si avvertono, tanta è la densità che ha fatto cedere quel legno in ogni suo punto, e che ha fatto schizzare la quota di esteri sopra le mille parti. Non allineato, non usuale, disrupting. Rum.

Verre vide: liquirizia, scorza di arancia amara, the e fumo. Dorian Gray.

Mentre ve ne scrivo, questi due pezzi unici della Hearts Collection sono già probabilmente sold out, nonostante il costo non precisamente cheap, un po’ come successo ai loro fratelli usciti circa un anno fa. Joy e Luca ci hanno ormai abituato a regali grandi, talvolta fuorimisura, e, come in questo caso, inusuali: per chi riuscirà a degustarli, il vero dono è capire la portata dell’operazione, e la parte di storia recente del rum giamaicano che viene finalmente narrata in forma liquida. In altre parole, keep searching for a heart of gold.

L’occasione mi è propizia per augurare un buon Natale ed un bellissimo 2022 a noi, parte della famiglia più viva e variopinta del mondo, e tanta salute a tutti.

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