Il 7, 8 e 9 aprile Parigi ha ospitato, presso il Parc Floral di Vincennes, il “Rhum Fest”, uno degli eventi più significativi dell’anno per quanto riguarda il mercato del Rum, uno spirit oggetto, in questi ultimi anni, di una vera e propria riscoperta culturale e qualitativa. Uno show imperdibile cui Fisar non poteva mancare: in 5 giorni di degustazioni alla cieca, una giuria composta da critici, sommeliers e giornalisti, ha assegnato medaglie d’oro, argento e bronzo ad ogni categoria, dai bianchi di puro succo di canna, ai vieux, agli hors d’age ed ai rum di melassa: le medaglie sono state dichiarate il giorno precedente all’apertura ufficiale del Festival, in modo che i visitatori ed i professionisti avessero la possibilità degustare i premiati consapevolmente.
La kermesse inizia con un weekend dedicato al grande pubblico, il 7 e 8 aprile, mentre lunedì 9 è il giorno dei professionisti. Atterro a Orly in una domenica sera calda e profumata di primavera: il volo è in ritardo, ma, una volta sull’autobus per il centro, le vie mi si snodano ampie davanti, sino a Montmartre, all’Etoile, alla Senna ed agli Champs-Elysées, e mi sento già a casa. Una luce rosata mi accoglie mentre afferro al volo un taxi per Vincennes, dove mi attende Clementine Guillot, cara amica e brand ambassador Europa per Rhum Damoiseau. Ci aspetta una serata a base di Tiki (dal polinesiano Tik, “il Primordiale”, un rum cocktail con tantissime varianti, nato già negli anni ‘30 – ’40 del secolo scorso), per dare inizio a questa avventura.
Alle 21.00 siamo chez Danico, un bar à cocktail e ristorante piuttosto noto, teatro di eventi e cocktail shows, per assistere all’abilità dietro al bancone di Daniele Dalla Pola (per i non addetti ai lavori, il Re italiano del Tiki) che ha un suo locale a Bologna (il Nu Lounge) e ne aprirà prossimamente uno a Miami, ma si definisce “senza fissa dimora”, promuovendo on the road il suo stile Tiki e i prodotti da lui creati (infusi naturali di erbe e spezie, gli Alamea, un po’ come l’antico Genever, ma su base rum). L’atmosfera è caraibica, e gli sguardi sono tutti al bancone, dove Daniele ed il suo team stanno già operando magie. Ci sediamo proprio vicine, accanto a Jonathan Damoiseau, nipote del big boss del rhum di Guadalupa, ed a Stefano Tirtei della Casoni Spirits: è come godersi lo spettacolo da un palco privato, e lo spirito Tiki arriva presto da noi sotto forma di due meravigliosi cocktail offerti proprio dalle mani di Daniele, il mio direttamente versato in una noce di cocco fresca… Spettacolare! La serata diventa fitta di presentazioni e filosofia “rumistica” tanto che, finito lo spettacolo, Daniele ed il suo team ci invitano ad un tour nei cocktail bar più in voga di Parigi, per una “full-immersion” in un mercato completamente diverso, e, perché no, un confronto diretto con i proprietari. Uber ha appena iniziato a conoscerci…
Visitiamo tre locali molto famosi, e la cosa più stupefacente è l’enorme scelta di spirits rispetto all’Italia, soprattutto per quanto riguarda i rhum agricoles, ed il fatto che molti bartender di tendenza siano italiani (!). La creatività qui non ha nessun limite e Daniele è nel suo mondo, ma anche noi ci adattiamo molto velocemente: c’è una ricerca ed un rispetto per la materia prima che descrive perfettamente la storia “naturale” di ogni cocktail, e lo porta dalle Hawaii, dai Caraibi o dalla Polinesia sino a noi. Parigi è un fantastico gateway per molteplici viaggi, ed accoglie benevola ogni ritorno. Ultimo giro di Uber e torniamo in hotel a Vincennes, pronti per il big day dell’indomani, che ormai è solo tra qualche ora.
Nonostante le poche ore di sonno, all’apertura siamo puntuali, Clementine di turno allo stand Damoiseau, ed io per poter godere in tranquillità delle prime degustazioni senza essere attorniata da troppi rumori e troppi odori, dotata di un calice da distillato messo a disposizione dall’organizzazione, insieme alla classica piantina degli stand e ad una copia di “Rumporter”, rivista sulla cultura Rum.
La grande famiglia del Rum, qui riunita, mi attende dallo scorso Ottobre, giorno del Rum Day italiano, ed io non vedo l’ora di incontrare i volti noti e i volti nuovi, tutti legati dalla stessa grande passione per quell’incredibile materia prima che è la canna da zucchero, l’unica che respira il proprio “terroir” completamente, amplificandone e concentrandone ogni tratto significativo senza far sconti, in estrema trasparenza.
Appena entrata, eccomi accolta dal sorriso di Stefano Tirtei e di Jonathan Damoiseau, rispettivamente agli stand Alamea Exotic Infusions (i prodotti ideati per la mixology da Daniele Della Pola e Elis Carriero) e novità Damoiseau: lo stop è dovuto per un saluto dopo la serata, e perché, conoscendo piuttosto bene il panel Damoiseau, sono incuriosita dalle novità proposte: la degustazione inizia qui, in tutta dolcezza. Infatti, una delle medaglie attribuite a Damoiseau, è un bronzo per un prodotto denominato “rhum arrangé”, grande tradizione delle Antille Francesi: trattasi di rhum agricole blanc in cui vengono poste a macerare frutta tropicale fresca, bacche o spezie, senza mai levarle. Ogni famiglia delle Antille in genere produce in casa i propri arrangés. Il risultato è un distillato molto gradevole, di gradazione un po’ inferiore ai classici 40° vol., che continua ad accumulare nel tempo i sentori della frutta e delle spezie e si colora gradualmente. Il premiato di casa Damoiseau è in particolare l’arrangé Ananas Victoria – Vanille: il colore è già piacevolmente dorato ed il profumo è molto intenso, in particolare l’ananas sembra davvero “just picked up” sia al naso che, sorprendentemente, al palato, succosissimo. La vaniglia arriva in punta di piedi e riempie il finale di dolcezza e carattere. Sono conquistata perché anche io a casa preparo spesso il mio arrangé per il Natale, e questo sembra proprio “fait maison”. Dopo la dolcezza dell’arrangé, passo alla nuova categoria introdotta da pochissimo nel listino Damoiseau: si tratta di due (per ora) blend di rhum agricole e rum di melassa. Pochi lo sanno, ma questa è una vecchia tradizione in Guadalupa, che si è un po’ persa con il passare del tempo e con l’irrigidimento di posizioni e confini tra rhum agricole e rum di melassa. Damoiseau, innovatore come sempre, ma anche molto attento alla storia e alla cultura del suo paese, propone Concordia, un mix tra rhum agricolo e rum di melassa ciascuno invecchiato 4 anni, e Statera, in cui i due distillati sono rispettivamente invecchiati 5 anni. Il nome latino (Concordia, che è l’armonia, e Statera, che è la bilancia, l’equilibrio) sta ad indicare l’importanza della storia per la famiglia Damoiseau, e lo apprezzo particolarmente. I due prodotti sono entrambi di fascia premium, equilibrati ed intensi. Statera, in particolare, ha una golosa persistenza di fave di cacao e torrefazione che lo rende un ottimo prodotto da meditazione, da degustare anche solo con il cioccolato fondente, un buon sigaro e due chiacchiere tra amici, accontentando i gusti di “agricolisti” e “tradizionalisti”.
Per il grande rispetto per la tradizione ed anche per questa nuova ed azzeccata collocazione di mercato, consegno ad un Jonathan Damoiseau orgoglioso ed emozionato il primo gagliardetto Fisar della giornata.
Proseguo il mio percorso alla ricerca di novità e conferme: l’esposizione si sviluppa su 4 grandi sale e gli stand sono davvero tantissimi: circa 180 brand espongono i loro prodotti, in più c’è lo stand con le ultimissime novità, un bar à cocktail dove alcuni barman preparano una grande scelta di cocktails con la base rum preferita dal cliente (e l’assortimento dà i brividi, credetemi), e lo shop di Christian De Montaguère, una delle boutique di rum e prodotti caraibici più famose di Francia, dove è possibile acquistare alcune delle referenze presenti in degustazione (oggi anche on line con spedizione in Italia!). In un padiglione separato, ci sono diversi stand che preparano piatti europei e piatti tradizionali delle Antille. La giornata è piovosa, ma dentro il salone nessuno se ne accorge, soprattutto mentre l’ambiente si popola con il passare delle ore: è il sole delle isole che ci riscalda e ci anima.
Il secondo stand che visito, alla ricerca dei Clairin di Haiti, è quello de “La Maison Du Whisky” (partner di Velier, l’azienda genovese capitanata da Luca Gargano, che sta portando avanti una rivoluzionaria classificazione, mirata a restituire al rum il valore culturale che gli spetta): oltre al Clairin “Le Rocher”, medaglia di bronzo, LMDW presenta anche le ultime novità della Transcontinental Rum Line, di cui una referenza è stata premiata con l’oro dai giudici, il Fiji 2014, ed il masterpiece Principia, distillato dal grande Richard Seale (owner e master distiller di FourSquare a Barbados, uno dei più grandi distillatori dei nostri giorni). Il banco d’assaggio è ancora semivuoto, quindi ho tutto il tempo di degustare il Fiji, della linea Transcontinental Rum Line, ispirata ai viaggi storici delle botti di rum tra il Nuovo Mondo e il Vecchio Continente. Fin dalle origini della sua produzione, il rum è stato trasportato in Europa, per ragioni marittime, economiche e tecniche. Marittime, perché ha evitato ai marinai di bere acqua stagnante durante i lunghi periodi in mare. Economiche, poiché il rum invecchiato in un clima continentale evapora meno rapidamente e matura più lentamente. Tecniche, perché la varietà di barili disponibili e l’indiscutibile know-how dei maîtres de chai europei del cognac e del whisky hanno permesso di dar vita ad espressioni uniche. Per motivi di trasparenza, ogni imbottigliamento della serie mostra la sua proporzione di invecchiamento nel clima continentale.
Fiji 2014 è un rum tradizionale full proof, proveniente da melassa di canna coltivata presso le omonime isole, rimasto in invecchiamento tropicale per circa un anno, prima di essere imbarcato e viaggiare verso latitudini continentali, indi imbottigliato nel 2018: si presenta di un bel colore giallo dorato chiaro, un miele molto limpido e dall’apparenza piuttosto “grassa”. Il naso è un fantastico vortice capeggiato da delicate note floreali e citriche, che si arrende, solo alla fine, alla dolcezza del latte e della pastafrolla. Il palato richiama leggermente le note lattee e di pastafrolla al limone, per allungare splendidamente in spezie fresche, zenzero ed eucalipto, chiudendo con una vitalità vegetale che non ti attenderesti da un rum tradizionale. A bicchiere vuoto, i fiori e la canna da zucchero fresca ritornano, e mi portano lontano, nella magica natura delle isole Fiji. Un rum che porta bene il suo nome.
Dalle Fiji sbarco direttamente nella patria dei nuovi rum ancestrali, Haiti: mi attende l’ultimo nato tra i Clairin selezionati da Luca Gargano. Si chiama “Le Rocher” ed è un rhum bianco a pieno grado. Il produttore è già leggenda: si chiama Romelus Bethel e lavora a Pignon, nella regione Nord, non molto lontano dal villaggio dove distilla il grande Michel Sajous, di cui ho assaggiato la versione Cristalline 3:1, raffinatissima e super-vegetale. Qui non si tratta di puro succo di canna da zucchero però, ma di sciroppo, bollito per conservarne tutti gli aromi, pur mantenendone il carattere fresco, non diluito, come da protocollo Clairin: da notare che questa lavorazione a partire da sciroppo è la più antica. È distillato in pot-still dallo stesso Romelus, un uomo molto religioso, motivo per cui ha scelto il nome “Le Rocher”, che deriva dai versetti del Vangelo di Matteo 7, 24-27: “L’uomo stolto costruisce la casa sulla sabbia mentre l’uomo saggio la costruisce sulla roccia”. Il distillato esce a 46,5% e già il colore mi stupisce annunciando solidità: un bianco carta, trasparente ma spesso e grasso. Il naso è inizialmente poco espressivo, imbrigliato forse da quella grassezza, ma si rivela via via in modo sempre più incisivo su note erbacee, di frutta surmatura (banana e ananas in testa), e di caucciù. Il palato è riempito e permeato da questo “sasso” oleoso che è il sorso, rivelando la medesima frutta già percepita, ed una nota minerale/petrolifera, inattesa, che, in fin di bocca, abbandona la sua pesantezza per far posto ad un finale fresco e mentolato. Il bicchiere vuoto non mi abbandona facilmente: è un Clairin strano, diverso dagli altri, quasi giamaicano. Evolutivo ed adatto agli assoli.
Un po’ presa in scacco da questo ultimo assaggio, arrivo alla corte di re Richard Seale decisamente impreparata: sto per degustare l’ultimo capolavoro, Principia, ma il Clairin è ancora lì, ed è necessario creare un punto di rottura. Decido allora di attendere, mi faccio preparare un tiki su base Black Sheriff di Habitation Saint Etienne (che non ha nulla a che vedere con quello della sera prima, ahimé), e faccio un salto a trovare Clementine Guillot per condividerlo: così, poco dopo, rientro alla Maison Du Whisky con un palato decisamente ripulito. Il Principia si annuncia subito per ciò che è: la bottiglia, scura e solida, è nel tipico stile Velier dedicato ai prodotti di prestigio, come i Caroni e la serie Inventorum. Il distillato, colato nel 2008, nasce come single blended, da pot still e column still, full proof (62% ABV). È stato concepito come una prova di maestria ed un ritorno al “principio” coniugando due differenti stili di distillazione ed invecchiamento (due differenti tipi di legno: 3 anni in botti ex-bourbon e 6 anni in botti ex-sherry). Prova di maestria per la doppia distillazione, e ritorno al principio perché il primo rum di Foursquare destinato all’export fu il Doorly’s XO, che prevedeva appunto un finishing in barili ex-sherry. Nel bicchiere, il colore è già affascinante, marrone ambrato, quasi aranciato, leggermente torbido e molto spesso. Probabilmente non ha subito filtrazione se non parziale, e questo mi piace. Il primo naso è di spezie calde, vaniglia (dalle botti di bourbon), cannella, muscade e pepe. Lo sherry entra in scena restando sullo sfondo, sottilmente, con una piacevole nota acida di frutta rossa. Il sorso è intensissimo e denso, non si avvertono quasi i 62 watt grazie alla freschezza: è setoso, avvolgente, grasso e ricco di spezie e frutta rossa (ribes e lampone) che riesuma quella annunciata e piacevole acidità. La perfezione dello stile di maturazione, che completa il calore della vaniglia con la lunghezza fresca e leggermente tannica dello sherry, lo rende un vero monumento di calibrata complessità. A posteriori, posso dire che questa sicuramente è stata la degustazione più impegnativa della mia giornata, e un po’ me lo aspettavo.
Dopo un tale esercizio fisico e mentale, ho bisogno di rilassare i miei sensi con qualcosa di assolutamente fresco e possibilmente…bianco! Procedo nella sala successiva e sono incuriosita da uno stand in cui c’è tranquillità, perché i visitatori si concentrano tutti alla vicina Toucan (Guyana), vincitore di un oro tra i bianchi. Non riuscirò ad avvicinarmi alla Toucan per tutto il giorno, ma sono davvero contenta di essermi fermata appena prima: continente Oceania, regione Polinesia Francese, precisamente Tahiti, produttore Manutea. Questi rum polinesiani sono la vera rivelazione di quest’anno, non solo per me ma anche per i critici: infatti il Manutea 50% vol viene premiato anch’esso con una meritatissima medaglia d’oro. Già la bottiglia è splendida, trasparente, sull’etichetta in evidenza alcune golette a vela dorate su uno sfondo di stelle. Il gentile rappresentante del brand mi spiega che è un rhum agricole, quindi di puro succo di canna, e la canna è di varietà Taha’a, diffusa su quelle isole, tagliata e raccolta a mano, quindi pressata immediatamente, una sola volta e senza aggiunta di acqua. Il succo risultante ha un aroma molto intenso e la fermentazione dura circa 36h. Una volta ottenuto il vesou, viene caricato sulle golette dell’etichetta per raggiungere l’isola di Moorea e la distilleria: qui è distillato in discontinuo. Il prodotto ottenuto è un rhum bianco elegantissimo, dal colore brillante e limpido nel bicchiere. Il naso è pulito, di frutta bianca e the, mentre il palato attacca in continuo con la dolcezza della pera e si snoda poi infinito sulle note della liquirizia e della menta. Una coccola rinfrescante che mi procura un piacevole reset. Il rhum di Tahiti resterà uno dei prodotti più straordinari assaggiati oggi, infatti vado subito a cercare, tra le novità, un altro bianco polinesiano, il rhum T de Taha’a, che titola 55% vol, ed ho la conferma che questa varietà di canna è veramente interessante per il gusto fresco ed erbaceo che dona ai distillati: Il T de Taha’a è a mio parere un po’ meno elegante ed i watt si sentono, ma la lunghezza e la persistenza sono notevoli, aggiungendo una nota, piuttosto gradita al mio gusto, di sapidità marina al consueto bouquet. Anche questo prodotto è stato premiato dai critici con una medaglia, ma d’argento.
Rimango nei pressi, per visitare gli amici della Distillerie La Favorite, di Martinica. Qui non sono piovute medaglie, ma il nome è consolidata garanzia di savoir-faire. La Favorite utilizza ancora una vecchia signora a vapore dei primi del 900 per produrre il suo rhum, ed è una delle due sole distillerie rimaste indipendenti in Martinica, insieme a Neisson, non presente. È probabilmente la più piccola, ed i suoi prodotti sono poco noti in Italia, se non agli addetti ai lavori. L’Habitation, del 1842, precedentemente zuccherificio, è legata alla storia della famiglia Dormoy: è il capostipite Henry che la trasforma nel 1905 in distilleria. L’usine è circondata dai campi di canna, principalmente delle varietà Bleue e Roseau, ma ultimamente anche Rouge, che viene raccolta con taglio manuale, senza bruciare il campo, come nelle migliori storie di canna da zucchero. La fermentazione del vesou uscito dai mulini dura circa 48/72 ore, con lieviti indigeni: è qui che nasce il prodotto di qualità, e si carica di aromi secondari interessanti. Le due colonne, un’antica creole in rame (del 1905!) e una in rame e inox, distillano lentamente un Rhum tra i 65% ed i 72% vol, per garantire la salvaguardia degli aromi primari e secondari. Un 80 per cento della produzione è ridotto in grado, a 55% e 60% vol, per i bianchi e le cuvées più semplici, mentre il resto è consacrato, a pieno grado (71% vol), agli invecchiamenti, per filosofia aziendale. Questi ultimi vengono effettuati in sole botti ex-cognac di secondo passaggio, producendo terziari molto affascinanti di fiori e frutta matura (mela soprattutto), spezie dolci e balsamicità. Ciò che distanzia La Favorite dalle altre è qui: le creature da lungo, anche lunghissimo invecchiamento, ormai merce rara, prodotte senza soluzione di continuità. La mia degustazione inizia con il sorriso di Franck Dormoy ed Emmanuelle Parent, che mi riconoscono perché ci eravamo incrociati la sera prima da Danico e per le fotografie sul web relative alla serata Damoiseau organizzata per Fisar Milano. È Franck che mi conduce per mano tra i suoi tesori, racchiusi in bellissime bottiglie ottocentesche con il tappo sigillato a cera, in etichetta l’ingresso dell’Habitation, l’indicazione dell’annata, il numero di bottiglia (le serie sono molto spesso numerate), ed il tipo di canna. I miei coup de coeur, tra i rhum degustati, sono un bianco parcellare di canne rouge, la famosa Cuvée Rivière Bel’Air, ed un millesimo d’eccezione, la cuvée dedicata ad André Dormoy, Privilège 1999. In particolare, il bianco è una delle canne rouge più intense e ferrose che abbia mai degustato: il naso è incredibilmente fiorito, vegetale ed agrumato, con una punta di pepe che s’insinua nel finale, ed il palato è un bomba di gourmandise a 53% vol che non si sentono, tanta è la rotondità fruttata, in cui gli agrumi sono ancora padroni incontrastati, sostenuti da una spinta sapidità ferrosa. La nota finale, a bicchiere vuoto, è ancora vegetale ma con un piacevole ritorno minerale: del resto siamo in Martinica, ed il terreno è decisamente vulcanico. Per quanto riguarda l’hors d’age che ho prediletto, la Cuvée hommage à André Dormoy, Privilège 1999, la mia prima nota è sulla luce che emana: una luce di miele caldo e dorato, sintomo di aging equilibrato e curato. È una cuvée dedicata al figlio di Henry, che ha creduto per primo nei lunghi invecchiamenti, e questo è l’ultimo che ha potuto mettere a dimora di propria mano nei fusti di Cognac, nel 1999, prima di morire agli inizi del 2000. Un jus assemblato da fusti selezionati ed invecchiato ben 17 anni prima di essere imbottigliato, con una “part des anges” del 70%, ovvero circa 140 litri su un barile da 200 litri, ed un sornione 43%vol che lo rende molto accessibile. L’effetto miele si riproduce sulle pareti del bicchiere, permeate da un grasso sciroppo d’oro: il naso è delizioso, un concentrato di miele, pomme-cannelle e mirabella, con una punta di cardamomo; fluido e coerente il palato, dove domina deciso l’ananas flambé, scortato da tabacco ed ancora cannella e cardamomo. La persistenza è molto lunga, ed il bicchiere vuoto mi riporta a quei frutti gialli che sanno d’estate e la distillazione ha colto sul punto di maturare. Una degustazione rilassante e ben guidata, ed un atterraggio morbidissimo: la competenza e la passione di Franck ed Emmanuelle valgono la consegna del mio secondo gagliardetto della giornata, con la promessa di una visita dal vivo in distilleria, non appena possibile.
Nel frattempo, Clementine Guillot è alle prese con il pubblico allo stand accanto, dove illustra con una solida competenza ornata dall’affascinante sorriso, i prodotti classici della linea Damoiseau, bianchi ed invecchiati. Mi fermo un attimo per assistere alle degustazioni: molti sono catturati dal 10 ans che ha vinto la medaglia di bronzo nel panel dei rum invecchiati più i 7 anni, ed è, a mio parere, davvero un classico senza tempo per eleganza e rotondità, nel suo abito di mogano chiaro e serico; altri prodotti che attirano l’attenzione sono i due millesimi di pregio, 1989 e 1995. È interessante impostare degustazioni “tematiche” avendo a disposizione un pubblico di professionals: ad esempio c’è chi gradisce maggiormente il lato “maschile” e sapido di un distillato, e chi invece ama indulgere in prodotti più morbidi. La fortuna è che Damoiseau offre una gamma pronta ad accogliere davvero ogni gusto.
Nel primo pomeriggio, arriva in fiera Hervé Storme, fondatore del Rhum Club France, ed uno dei miei riferimenti in fatto di conoscenze dirette di distillerie ed informazioni tecniche. Ci scambiamo un paio di pareri e partiamo per un giro di degustazioni presso gli stand di alcune distillerie che lui conosce meglio di me.
Il mio primo step è da Longueteau, storico nome di Guadalupa. Stretta la mano a François Longueteau, gli chiedo di poter finalmente degustare due prodotti già consolidati, che ancora in Italia non sono reperibili: il rhum bianco parcellare n. 4 di sola Canne Bleue, e la cuvée Genesis, dall’inconfondibile bottiglia-parallelepipedo bianca opaca. Lo stand è preso d’assalto, ed ho appena il tempo di fare veloci considerazioni: la Parcelle n. 4, imbottigliata a 55°vol, è un rhum blanc ricco ed inizialmente zuccheroso, ma in profondità super agrumato e sapido, quasi salino, che entra pienamente nelle mie corde. La Canne Bleue utilizzata è coltivata su terreni vicini al mare. Dev’essere eccezionale in t-punch. La Cuvée Genesis è un bianco “rough” e complesso, un brut de colonne che esce a 73°vol e viene imbottigliato a pieno grado: che ci crediate o no, è perfettamente bevibile, ed è una delle creazioni più pure che abbia mai degustato. A dispetto della sua potenza, sono gli aromi più persistenti e volatili quelli traghettati sino alle nostre narici ed alle nostre papille, e non sono pochi; mentre il palato è ancora avvolto da quel calore estremo, me li riconsegna tutti il bicchiere vuoto: fiori di tiaré, carambola, arancio amaro, pepe, forse addirittura mandorla. In effetti porta bene il suo nome, è un big-bang di aromi puri.
Ringraziamo François, e, per sfuggire alla calca, facciamo nuovamente vela verso la Martinica, allo stand La Mauny – Trois Rivières, una Habitation che data 1660, prima come Sucrerie, poi dal 1905 come Distilleria, possedendo più di 2000 Ha di campi coltivati a canna nel sud dell’isola. Qui sono accolta dal maître de chai, grande amico e grande degustatore, Daniel Baudin, che gentilmente mi introduce le due gamme di prodotti che escono dalla medesima usine, ma hanno ovviamente uno stile ed una platea leggermente diverse.
La gamma Trois Rivières è nota per i bianchi, strepitosi, da canna coltivata a bordo mare, su terreni vulcanici e molto minerali, come la Cuvée De L’Océan, premiata un paio d’anni fa con l’oro al Concours Agricole di Parigi. Dal momento che li conosco, Daniel mi avvicina gradualmente alle cuvées invecchiate, avvinandomi un bicchiere diverso per ogni prodotto e degustando in parallelo con me, un’esperienza che mi ha davvero riempito di soddisfazione e di preziosi “trucchi del mestiere”. La gamma La Mauny, rispetto a Trois Rivières, propone prodotti più semplici e popolari, partendo, ad esempio, dai Rhum Arrangés, senza disdegnare il prodotto di eccellenza e le cuvées più elaborate.
I prodotti sono davvero numerosi, e Daniel si concentra sul mio gusto personale per individuare un percorso, alla fine del quale, i due rhum che mi conquistano, nelle rispettive gamme, sono cuvées composte da vari millesimi, che per alcuni aspetti si possono vedere come universi comunicanti: la Cuvée Oman (uno dei “tre fiumi” che attraversano la proprietà) per Trois Rivières, e Le Nouveau Monde per Maison La Mauny. Le mie note di degustazione, pur partendo da caratteristiche molto diverse, si incontrano ad un milieu dolce, di cannella, vaniglia e cioccolato, con un tocco di legno esotico che riscalda. L’equilibrio della prima, caratterizzato da un naso elegantissimo di fiori bianchi, spezie ed incenso, attacca, al palato, su una freschezza quasi orientale di the verde, cardamomo e muscade, poi gradualmente si arrotonda e si scalda nel bicchiere, con una persistenza incredibilmente lunga. Il secondo, nella bella bottiglia a forma di globo, parte da un naso tipico di spezie e pasticceria, molto gourmand se pur immediato, per atterrare, molto sofficemente, su un lungo tappeto speziato-boisé, con una nota finale di terra che mi ha stupito, e mi ha fatto davvero pensare ad un vascello che da lontano, dopo mesi di navigazione, avvista la terra del “Nouveau Monde”. È certamente un effetto ben riuscito e mi trovo in linea con Daniel sulla degustazione di questi due fantastici prodotti, figli della sua inventiva. Per la completezza della degustazione e l’eleganza nella presentazione del suo lavoro, consegno il terzo gagliardetto a Daniel, ammirata non solo per i prodotti stessi, ma soprattutto per la sua preparazione e sensibilità, e per la capacità di far entrare subito e senza barriere un degustatore nel suo “regno”.
Con Hervé faccio un passaggio veloce anche da Habitation Saint Etienne (Martinica, uno dei colossi in crescita rapida, vincitore di diverse medaglie), per degustare il nuovo parcellare di Canne D’Or, un bianco di pregio, 55 watt di eleganza floreale e fruttata, molto pieno e ricco. Lo stand è troppo popolato per i miei gusti, e mi accontento di questa, devo dire molto soddisfacente, degustazione. Un prodotto che consiglierei certamente solo o per comporre un t-punch raffinato.
Il pomeriggio volge verso la fine, e decido, con Hervé, di fare un passaggio da Bologne, la decana tra le distillerie di Guadalupa, collocata in Basse-Terre ai piedi della Soufrière (il vulcano che domina quest’ala dell’isola-farfalla), ed in attività dal 1887, mentre il domaine sucrier è addirittura del 1654. Bologne, mamma di alcuni tra i rhum bianchi più bevuti in Gwada, è in piena rivoluzione culturale da qualche anno, ed ha introdotto, accanto ai classici cavalli di battaglia, alcuni prodotti premium di grande qualità ed impatto, merito del suo maître de chai, Frederic David, un ragazzo d’oro e in gamba. Tra questi, c’è un bianco parcellare di Canne Noir che è stato protagonista, l’anno scorso, di molti t-punch che ho bevuto in loco: un prodotto che si colloca nel mercato dei bianchi di fascia alta, molto fruttato e con una spiccata nota affumicata e minerale che lo rende inconfondibile. Faccio l’onorata conoscenza di Frederic, e gli porgo i miei complimenti per il rivoluzionario percorso di qualità, che sta presentando “Mamma Bologne” sul mercato con un appeal completamente diverso e molto competitivo.
Vengo da lui affidata alle mani sapienti di Lydia Loimon, che mi guida tra le novità premium in invecchiamento, capitolo ultimamente molto arricchito in casa Bologne: proprio nel 2018, infatti, sono uscite alcune edizioni limitate ad infoltire la classica linea Gold, VO, VSOP, XO, Grand Resèrve.
Si tratta di un rhum ambré agricole in stile simil-inglese, il Dark Sail, dedicato alla memoria di Jean-Antoine Amé-Noél (1769-1845), figura emblematica nella storia della regione di Basse-Terre e la cui tomba si trova presso la piantagione della distilleria. Egli, un pescatore, nero ma nato libero, avrebbe scoperto, secondo la leggenda, un tesoro al largo di Basse-Terre pescando sulla sua nave dalle vele nere, che gli avrebbe permesso nel 1830 di acquistare il domaine Bologne, da cui la dedica. Il rhum in sé, pur essendo un agricolo, conserva il carattere fortemente boisé e speziato dei rhum di stile inglese, addolcito e caratterizzato dallo stay in fusti di bourbon.
Quello che mi colpisce, nonostante questa dedica alla storia di Bologne, sono però i due rhum, rispettivamente un 2009 Brut de Fut e un Hors D’Age, della nuova serie denominata “Les Confidentiels”: già il nome fa pensare ad una produzione di nicchia, per pochi, ed in effetti, i due prodotti sono parte di serie numerate, pensate per dipingere l’anima più intima e vera della distilleria, e per essere un tesoro destinato ad intenditori e collezionisti. Il primo, il Brut de Fut (o Cask Strenght, per dirla nel gergo del whisky), è un rhum distillato in colonna creole (piccola colonna di rame), messo in botte di rovere francese (per conferire gusto rotondo e fruttato), nel Maggio del 2009 e soutiré (non filtrato) dal fusto numero 605 per essere imbottigliato nel Febbraio 2018, a pieno grado: oggi titola 46,5%vol, ed il suo colore è un elegante acajou, con una consistenza che permea il bicchiere lentamente ma completamente. Il naso si apre delicato su note di fiori essiccati, soprattutto di petali di rosa, e si arrotonda gradualmente nella mela cotogna, nella banana e nella crema alla vaniglia. Una punta di pepe conferisce vitalità. Il palato è ricco e vibrante, sulle note della frutta tropicale, della banana flambé soprattutto, del cacao e delle spezie. Il finale è ancora ritmato da pepe, muscade, ed un interessante sviluppo balsamico. A bicchiere vuoto, i petali di rosa tornano a farmi compagnia. Molto elegante e distinguibile! L’Hors D’Age gioca sulle medesime corde: qualche nota floreale accennata, una speziatura molto dolce di muscade e vaniglia, ed una rotondità di frutta tropicale e boisé: anch’esso datato 2009 e soutiré nel 2018, proviene da una selezione di fusti messi in invecchiamento nel medesimo anno.
Questi due prodotti sono davvero il sintomo della nuova era di Bologne: il frutto di un lavoro davvero eccellente da parte di una direzione lungimirante, di un maitre de chai fuori dal comune e di un efficiente ufficio Marketing. Il quarto gagliardetto è giunto alla sua destinazione, e lo consegno nelle mani di una soddisfattissima e quasi commossa madame Perrone, direttrice, insieme a Frederic David e Lydia Loimon. La signora mi dice che non hanno avuto medaglie in questa edizione del Rhum Fest (solo al Salon De L’Agriculture), ma è come se il nostro gagliardetto fosse una vera e propria medaglia per lei, che ha il marito di origini italiane. La sua soddisfazione mi fa un piacere enorme, perché ho premiato il coraggio di un nuovo percorso.
Nel turbine degli ultimi minuti, mi fermo a fare una foto con un vero e proprio lupo di mare, il “pirata” François Mangin, che riconosco al volo mentre sta circolando nei dintorni: il suo lavoro già di per sé meriterebbe un premio. Infatti è il comandante di un brigantino, il “Tres Hombres”, che si propone, come accadeva un tempo, di trasportare le merci, soprattutto rhum e altri prodotti del centroamerica, completamente a vela, fino in Europa, senza effetti nocivi sull’ambiente: è il Fair Transport, che spero vivamente venga utilizzato sempre di più in futuro. In particolare, i rhum sono selezionati tra i migliori delle distillerie di Guadalupa e Martinica, e viaggiano, come quelli della Transcontinental, dopo una parte consistente di invecchiamento tropicale, ma molto più lentamente ed in modo molto più proficuo per il carattere del distillato. Stavolta sono io ad essere commossa!
Il mio ultimo stop è per una distilleria relativamente nuova di Martinica, nata, per così dire, già con l’idea del biologico, e certificata infatti per alcuni prodotti. Si chiama A1710, ed il nome cela la storica Habitation Du Simon, ma il concept è tutto nuovo, e piuttosto ricercato. La giovane azienda, rappresentata da Stacy Hate, possiede tre ettari di canna coltivati su una parcella completamente vergine in modo biologico, e la canna anche qui è tagliata a mano. Il succo che esce dai mulini, subisce una fermentazione con lieviti indigeni e viene poi distillato in un piccolo alambicco discontinuo denominato “La Belle Aline” e rettificato in una colonna creola di rame. Lo stand è molto affollato, ma la gentilissima Stacy mi fa assaggiare i due rhum bianchi parcellari che sono un po’ la firma della distilleria, rispettivamente di canne rouge e di canne bleue. Devo dire che oggi ho avuto modo di assaggiarne diversi, ma la loro canne bleue (“Perle Rare B69-566”) ha uno stile leggero, fresco e sapido, quasi croccante, che la rende davvero unica, con un alcool integratissimo, nonostante tocchi i 52,5°vol. Non a caso è stato eletto miglior nuovo rhum agricole del 2017 da Rum Journal. Lascio a Stacy i miei contatti, perché mi confessa di cercare con impazienza un distributore in Italia, e la ringrazio per avermi servito così gentilmente, nonostante siamo alla fine di tre lunghi giorni di lavoro.
Gli stand sono tutti in chiusura, e la giornata volge al termine: molti professionisti si avvicinano chiedendo campioni dei prodotti che hanno degustato alle distillerie, ma, vista la disponibilità dello shop di Christian De Montaguère, io decido che acquisterò due referenze che voglio portare con me, una perché mi ha colpito e non è in vendita in Italia sui canali tradizionali, e l’altra per il prezzo davvero ottimo, circa un 30% in meno rispetto al mercato italiano: sono il bianco parcellare Rivière Bel’Air di La Favorite e un Demerara, L’El Dorado 21.
Passo allo stand Damoiseau per salutare, e nel frattempo è comparso il Big Boss, Hervé Damoiseau, che speravo di poter incontrare, per complimentarmi e ringraziarlo: chiedo a Stefano Tirtei se può immortalare il momento, ed anche Hervé vuole una foto con me. È un personaggio davvero singolare, nonchalante, bonario, pur essendo uno degli uomini più influenti in questo settore. Lo saluto con calore e mi avvio all’Hotel con Clementine, anche lei piuttosto provata.
Con una punta di nostalgia, salutiamo i padiglioni di questa immensa festa colorata, fatta di gente che lavora sodo e con passione per portare al consumatore qualità, professionalità e prodotti nuovi ogni giorno. Ci rivedremo a Wroclaw, a Spa o a Milano, con i volti noti ed i volti nuovi di questa immensa famiglia di “pirati” in cui ci si riconosce rapidamente e si condividono da subito avventure, sogni e tesori in modo spontaneo, senza filtri e soprattutto senza bandiere.
La mattina parto presto: Parigi si sta svegliando nella sua luce rosa. Non piove più.