Il tempo dilatato di questi mesi nella mia piccola Marie Galante si è fatto improvvisamente corto ed i momenti per una riflessione sulle novità osservate nella breve visita in Guadalupa di un mese fa, sempre più importanti e necessari.
Guadalupa bruscamente modernizzata, con sempre meno angoli dimenticati ed incontaminati: un paradiso naturale ormai alla portata del mondo, che al mondo occidentale di qualche anno fa per molti versi già assomiglia. Guadalupa antica e moderna, dove i destini del rhum si sono intrecciati, nei secoli, a quelli dello zucchero, tra vecchie usines divenuti musei, distillerie storiche che si rinnovano, e nuove realtà che la storia l’hanno studiata bene.
Sui vertisol di Basse Terre, la grande mamma Bologne è in pieno rinnovamento: un nuovo direttore, un nuovo team di accoglienza ed un nuovo e giovane maître de chais, stanno cambiando ancora una volta il volto della distilleria in senso eco-sostenibile, attento al terroir ed alla propria, fiera identità.
Tanti i nuovi prodotti degustati, dove la protagonista indiscussa è quasi sempre la piccola canna nera tipica dei verdi pendii verdi della Soufrière: tra questi, sebbene il mio cuore rimanga legato ad un bianco come la Coulisse, che per il momento purtroppo non verrà rimesso in produzione, eccezionale la prova finale di quello che è poi stato imbottigliato come il nuovo “Distillat”, brut de Colonne 100% canne noire, prodotto in edizione limitata, manco a dirlo, nella preziosa e piccola Savalle in rame “Gilbert”; elegante e delicatamente floreale la nuova cuvée a 45% ABV, “La Petite Canne Noire”, ed infine mascolino, secco e “fumoso” il parcellare “Grande Savane”. Gli invecchiamenti si stanno muovendo in molte direzioni: un Dark Sail rinnovato, con interessanti note di intensa torrefazione, che strizza l’occhio al mondo dei bartender, ed un uso dei legni sempre più consapevole che doppie maturazioni, finishing e attenzione alle tostature, possono in qualche modo rallentare l’inesorabile e progressiva tagliola dell’invecchiamento tropicale, in un momento storico e meteorologico in cui la parte degli angeli è abbondantemente sopra il 10% annuo da queste parti.
Se Bologne era già nella sua parabola ascendente da almeno un decennio, la vera rivoluzione l’abbiamo trovata in quel di Carrère, dove madame Montebello fumava a pieni giri da qualche settimana: è una di quelle distillerie famose soprattutto per i soliti, grandi classici, e, per gli stessi motivi, molto spesso trascurata e dimenticata, nonostante la bontà di quei soliti grandi classici. Chi non si rinnova muore, si dice, e la lezione è stata ben compresa dalla famiglia Marsolle, ancora alla guida del domaine, dove un nuovo e giovane brand ambassador, Paul Timon, che dei brand ambassador in vecchio stile ha ben poco, sta facendo una decisa differenza e sta solcando le rotte di ogni salone e fiera possibile per lanciare un messaggio di rinnovamento e di ritrovata identità. Una distilleria magnifica, con equipaggiamenti d’epoca perfettamente salvaguardati, dove nella sala dei bottoni, tra fermentazione, distillazione, e progettazione, l’età media si è decisamente abbassata, e la competenza alzata al massimo livello. Tra le tante meraviglie viste e degustate, ricordo soprattutto gli “esperimenti” sui legni di Paul, enologo tra le altre cose, e gli assaggi dalle cuves dedicate ai bianchi, dove si privilegia l’aspetto legato al terroir ed alle varietà di canna da zucchero più espressive (per non perdere il fil rouge con il terroir humain, tagliate rigorosamente a mano). Alcune di queste meraviglie stanno in questi giorni trovando casa in Italia grazie agli imbottigliatori indipendenti, cui questa indispensabile e nuova fase storica non è per nulla sfuggita. Sentirete parlare molto di Paul e, ovviamente, di Montebello, nel prossimo futuro, anche sulle mie pagine.
Stesso piglio, per carattere e competenza, è quello di Xavier Piron, che chiamare “brand ambassador” di Papa Rouyo è decisamente riduttivo: anch’egli enologo di formazione, è scortato e completato, nel suo lavoro di creazione e di perfezionamento, dalla precisione di Chloé Léguérinel, alla guida della sezione progetti. E’ di circa un anno fa la prima uscita di “Rejeton”, un rhum agricole à l’alambic che riecheggia la Giamaica nei toni opulenti ed espressivi: canna da zucchero coupée à la main, ça va sens dire, ricerca estrema del fattore terroir, lunga fermentazione, e distillazione in alambicco discontinuo, piccola meraviglia di rame di cui vi ho scritto lo scorso anno, Rejeton si appresta a vedere la sua seconda release, che non tarderà a stupirci. A volte si torna alle origini per guardare avanti.
L’accoglienza di Xavier e Chloé è stata, come d’abitudine, un tappeto di velluto: la meraviglia di questa piccola realtà dalle enormi potenzialità future, oltre alla grande presenza di spirito di questi due ragazzi, è stata soprattutto nel vedere quanto tempo e quanta passione dedichino alla gestione degli invecchiamenti, ben consapevoli di come proprio questo sia il punto debole della catena, l’anello che non tiene in una sequela tracciata con grande accuratezza. Papa Rouyo, protagonista del ritorno del rhum d’alambicco, il secondo dopo Rhum Rhum, in terra di Guadalupa, si appresta, nel prossimo anno, ad un altro grande cambiamento, che la porterà ad essere distilleria vera e propria nel sito di Le Moule, dove le canne da zucchero che danno vita ai suoi rhum crescono, prosperano, sono tagliate a mano e lavorate.
Come immaginerete, anche questa piccola ma eccezionale realtà, ha suscitato unanime interesse da parte di imbottigliatori indipendenti e collezionisti, ed alcuni piccoli gioielli, nel prossimo futuro, saranno felici di essere scoperti: non perdeteli di vista, se ne parlerà e ne parlerò.
Last but not least, impossibile non fare rotta da Reimonenq, che non aveva ancora iniziato la sua campagne cannière visto il clima bizzarro di questa stagione, e da Damoiseau, baluardo e punto di riferimento per il mondo del rhum e per Guadalupa, dove ci ha accolto un Hervé in gran forma ed in piena attività, che ha saputo trovare tempo per noi nonostante il delicato inizio di stagione, qualche imprevisto dovuto ad assenze e ritardi, e le solite ambasce burocratiche: una visita sempre gradevole ed istruttiva, un team con un innato spirito d’accoglienza ed il sorriso sempre a portata di mano, ed un sito logisticamente impareggiabile valgono sempre il detour.

Marie Galante guarda tutto questo da lontano, sorniona, ma, a sua volta, in piena trasformazione: la sucrerie di Grande Anse, in fermo obbligato da febbraio del 2021, ha finalmente ripreso a fumare quest’anno, grazie ad una nuova chaudière e a nuovi accordi societari, dando un po’ di respiro a tutta la filiera canne-rhum-sucre, e soprattutto all’anello ad un tempo debole e forte della catena, i planteurs, indispensabili ancore di salvataggio di un terroir umano in via d’estinzione.
La quarta (o meglio quinta) distilleria della Grande Galette, Rhum Rhum, si appresta anch’essa a riaprire i battenti, dopo lunghe noie legali, burocratiche e societarie, sui suoli della doyenne de l’ile, Père Labat, piccola realtà anch’essa in grande evoluzione, sotto la spinta dell’apertura a nuovi mercati e grazie a nuovi prodotti, un Bio ed un Parcellare, che mettono in risalto un terroir unico e da preservare. Ma questa è un’altra storia, che merita il suo momento per essere raccontata.
E’ il tramonto a Capesterre: il mare da lontano è viola e sulla stradina che conduce a casa un planteur con il suo coutelas a penzoloni lungo i fianchi, il passo stanco negli stivali di gomma, si avvia verso il meritato riposo. Anche domani il sole sorgerà presto su questo piccolo zoccolo di calcare dove il mestiere di fare il rhum trova ancora, oggi più che mai, il suo senso più compiuto ed un valore fuori dal tempo.