Rumrunner in Madinina

Il mio racconto vi sembrerà collocato in un luogo molto lontano nel tempo e nello spazio, in questa estate surreale, figlia di un periodo di forzato e cupo isolamento a causa di un virus che sta mettendo in ginocchio il mondo intero e si è mangiato milioni di vite: una estate in cui si riscoprono le piccole distanze e le meraviglie di una Italia provata, e pur bellissima, e, forse, sarà d’aiuto a qualcuno, per pensare ad un luogo ed un tempo senza perdite e senza malattie.

“L’isola esiste. Appare talora di lontano

Tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero […]

Radono con le prore quella beata riva:

tra fiori mai veduti svettano palme somme

Odora la divina foresta spessa e viva.

Lacrima il cardamomo, trasudano le gomme.”

Guido Gozzano, Poesie Sparse

Fort De France, Martinica, Sabato 1 Febbraio 2020

È piccolo l’aeroporto Aimé Cesaire, non me lo ricordavo affatto così: manco da qualche anno, ormai, ma una bella occasione e la voglia di rivedere luoghi e amici mi hanno rimesso lo zaino in spalla e mi han tolto un po’ di ruggine di dosso. È Carnevale, forse uno dei momenti più caratteristici nella vita di queste isole: la musica pervade l’androne degli arrivi, e prosegue all’esterno, dove piccole band improvvisate suonano i tanbou sul ciglio della strada e ti invitano a ballare al ritmo dello zouk. Anche con lo zaino in spalla ed una valigia al seguito è difficile resistere, e mi fermo ad ascoltare e far due saltelli. Il sole mi regala un benvenuto d’oro con gli ultimi caldi raggi di quella che certo è stata una magnifica giornata, per nulla umida: mi tolgo con enorme piacere la felpona da aereo, e sono già tutt’uno con la vita. Il profumo del cibo locale mi attira dalle bancarelle: recupero un bokit ed una birretta per la cena, poi anche l’auto; è quasi buio ormai. Imposto il navigatore, oggetto col quale litigherò non poche volte nei giorni successivi, metto i bagagli nel baule e via. Come sempre, la mia configurazione tipica è: zaino con il minimo personale indispensabile, e valigia grande per i tesori in bottiglia che porterò via con me.

Da Lamentin devo prendere la strada che va verso la montagna di Vauclin, ma le indicazioni fornite dal contatto su AirBnB non sono chiare: il mio appartamento, scelto per la posizione e la possibilità di vivere nella tranquillità della campagna, con la vista sul mare, dovrebbe essere nei dintorni di Vauclin, in collina, ma il navigatore mi spara nel centro abitato del paesino, giusto sotto la chiesa, dove la funzione del Sabato sera è appena terminata e la gente mi guarda non poco incuriosita. Chiamo il mio ospite che gentilmente si offre di venirmi a recuperare. In effetti, 10 minuti dopo, ecco sbucare il gentilissimo Bernard, un signore attempato, asciutto e dallo sguardo buono, che mi riconosce al volo tra quella folla colorata e mi fa cenno di seguirlo con l’auto: cinque minuti più indietro di dov’ero finita, fuori dal paese, ci inerpichiamo su per una stradina sterrata, con un ultimo spettacolare tratto in una pendenza che dir forte è un eufemismo: arriviamo ad un piccolo nido di pace, immerso in un rigoglioso giardino in perfetto stile martiniquais, con fiori e frutti, che il giorno dopo, alla luce, potrò meglio apprezzare.

Bernard e sua moglie Monique sono proprietari dell’abitazione a fianco. Potrebbero avere l’età dei miei genitori, forse qualcosa in più, e questo, insieme alla loro mite dolcezza, me li rende immediatamente cari. Sono stupiti che io viaggi da sola, e si offrono di darmi indicazioni per qualsiasi cosa mi serva. Mi mostrano la dependance dove alloggerò, bianca e azzurra, come vuole lo stile locale: dentro non manca nulla, anzi, mi fanno persino trovare il necessario per la colazione ed uno spuntino nel frigo, oltre ad un magnifico bouquet tropicale dal giardino. Niente rhum, a quello provvederò appena possibile. In compenso, ho portato qualche bottiglia di vino da condividere con loro e gli amici: è un gesto che faccio spesso perché qui la scelta ed il prezzo del vino sono piuttosto limitanti.

La stanchezza è tanta, ma non riesco quasi a chiudere occhio: mi ci vorrà qualche giorno ancora per arrivare a dormire un po’ meglio. Le grenouilles, piccole ranocchie tropicali, hanno ormai iniziato la loro serenata crepuscolare. L’aria è dolce su questa collina profumata di fiori, mentre mangio il mio panino e comincio a studiare il percorso dei miei sette giorni: una sorta di marcia forzata da una distilleria all’altra, certo, ma attraverso angoli di natura meravigliosa. La mia base è il punto di partenza perfetto: si trova in prossimità della strada nazionale N6, che congiunge nord e sud di quella che, di fatto, è un’isola piuttosto piccola, circa 1100 km quadrati di suolo vulcanico, tutta colline e dirupi. Un’isola aspra e dolce, dominata, a nord, dalla Montagna Pelée, il gigante assopito che nel 1902 rase al suolo l’ex capitale Saint-Pierre, atterrando l’economia dell’isola, oggi di nuovo fiorente grazie al turismo ed al rhum, prodotto in ben 11 distillerie, alcune di esse sito di riferimento storico per una epopea, quella della canna da zucchero, che qui ci porta indietro sino a metà del 1600. L’indomani è domenica, ed essendo le distillerie comunemente chiuse al pubblico, mi dedicherò alla visita di un luogo “notevole” per la storia del Rhum Agricole, l’Habitation Clément, oggi non più in funzione come usine, ma completamente ristrutturata e preservata nei suoi edifici e nelle apparecchiature, per poter raccontare ad un pubblico anche non necessariamente di esperti, come si distillava rhum e come si viveva quotidianamente in una grande habitation sucrière del XVIII secolo.

Un paio d’ore di sonno e sono di nuovo in piedi, a godere di uno spettacolo meraviglioso: un’alba completamente rosa, i fiori di Bernard e Monique che si aprono in quel giardino d’incanto appena fuori dalla mia soglia, l’aria ancora fresca della notte passata e, lontano, sfavillante, l’oceano.

Faccio il mio solito the un po’ carico, mi rifornisco di acqua, bene di prima necessità, quaggiù, almeno quanto rhum, crema solare e cappello, mi metto in macchina e via. Perlustro in auto la collina, in modo da avere qualche punto di riferimento per le prime necessità, poi mi spingo sino al litorale: il blu turchese che amo mi sta aspettando, come ogni anno, ma i miei occhi sono sempre nuovi per lui. Scendo e respiro profondamente. Sono di nuovo un viandante sulle strade del mondo, e riprendo il mio viaggio.

Il sito dell’Habitation Clément si trova in una zona detta Le Francois, a circa 30 minuti di strada dal villaggio di Vauclin: le visite in questo sito patrimonio mondiale del rhum e della canna da zucchero iniziano alle 9 di mattina, ed io arrivo puntuale. L’ingresso all’Habitation è maestoso: un lungo viale di alte palme conduce con grazia caraibica all’edificio di accoglienza turistica, dove ci sono già alcune persone in coda: con un prezzo ragionevole di 12€ mi viene fornita un’audioguida, e parto alla scoperta di quello che, tra l’altro è stato nominato “Giardino Notevole” dal Ministero della Cultura francese nel 2015.

Il giardino circonda gli edifici dell’habitation ed è completamente percorribile: palme ed alberi tropicali come mogani, fromagers, figuiers maudits, flamboyants e fiori di ogni foggia e colore, fanno da cornice a decine di opere d’arte moderne, sparse nel giardino insieme alle reliquie di quella che fu una grandissima distilleria, ricostruita da Homère Clement nel 1917 sulle rovine della sucrerie del Domaine de l’Acajou, 160 ettari di estensione, in passato quasi tutti coltivati a canna da zucchero, dominati da una magnifica e restaurata Maison Créole risalente al XVIII secolo, già riconosciuta monumento storico nel 1991, e, unica in Martinica, completamente aperta e visitabile: un’imperdibile ode alla cultura creola.

Il percorso si snoda attraverso gli altri edifici attinenti alla vita quotidiana dell’habitation, fino ad arrivare, finalmente, all’antica distilleria, oggi meraviglioso museo della distillazione a cuore aperto: tutto è stato restaurato e ripristinato nella posizione in cui era mentre operava, la macchina a vapore, i mulini, i cardani, le due grandi colonne creole, le caldaie, e, all’esterno, le bilance. Fotografie in bianco e nero accompagnano il percorso, in parte sospeso su di una passerella, per poter ammirare dall’alto quel cuore un tempo pulsante, nella sua interezza. Uno spazio d’emozione per chi ama il rhum agricole ma anche per chi vi si avvicina.

Nel cortile antistante la distilleria, si trovano i tre magazzini d’invecchiamento, ancora operativi, ognuno con il nome di un personaggio storico della famiglia Clement. Il glorioso brand Rhum Clement, dal 1986, viene distillato presso l’usine Du Simon, poco distante, ed il patrimonio di rhum e cultura che racchiude è di proprietà del grande gruppo francese GBH, capitanato da Bernard Hayot, che, con grande lungimiranza, ha trasformato questo patrimonio invidiabile in un’opera fruibile a tutti.

Oltre agli chais d’invecchiamento, è attivo, presso il sito storico, lo shop della distilleria, con una degustazione di prodotti piuttosto nutrita, le ultime novità, ed alcuni meravigliosi vecchi imbottigliamenti da collezione, in vendita al pubblico: tentenno davanti ad un 1976, ma il costo è piuttosto alto, ed alla fine rinuncio.

Con gli occhi ancora pieni di meraviglia, mi riposo un po’ all’ombra degli alberi che circondano la maison creole, poi, ristorata, riprendo la strada. Il mattino avevo notato, sul litorale, alla Pointe de Faula, un piccolo ristorante con i tavoli rivolti verso l’oceano: non è presto, ma qui si mangia tranquillamente anche fin verso le tre del pomeriggio. È domenica e, contrariamente alle mie abitudini un po’ ruspanti e domestiche, decido di mangiare lì, e di far la spesa l’indomani mattina.

L’atmosfera è semplice e rilassata, in questa piccola cabane dove si serve cibo tipico, ed il ritmo caraibico, formidabile allenta-tensioni, si sta impadronendo piacevolmente di me, mentre sorseggio un bicchiere di rosé Minuty, insieme ad abbondante acqua fresca: la temperatura si aggira sui trenta gradi, smorzati efficacemente dagli alisei, che mi incollano i capelli di sale e mi rubano lo sguardo verso il turchese della baia.

Arriva il mio pesce, con contorno di riso e radici (igname), cucinate con le spezie: un piatto che fa sorridere il cuore, che mangio con tutta la lentezza possibile.

Un po’ per il cibo, un po’ per il vino ed il caldo, finalmente mi sembra di avere un po’ sonno: faccio una passeggiatina sul lungomare, e mi rimetto in macchina, ormai senza nulla ai piedi, verso i tornanti che conducono alla mia casetta.

Dormo si e no un paio d’ore ma mi sento rimessa a nuovo, pronta per un aperitivo a base di accras e verdure che Monique e Bernard stanno preparando per me: partiamo con un giro di ti punch a base di Rhum Dillon e La Favorite, ma poi apriamo una bollicina che mi ero portata dall’Italia, con loro grande soddisfazione. Sono due persone deliziose, con cui parlare veramente di tutto. Hanno attraversato momenti bui, nei quali si sono supportati vicendevolmente pur non essendo ancora una coppia, vicini da lontano: alla fine di tutto questo, si sono ritrovati e non si sono mai lasciati.

Nonostante abbia bevuto, quella sera il sonno non torna subito: mi metterò a scrivere, e mi addormenterò molto più tardi con la testa sul tavolo.

L’indomani mi aspettano due carissimi amici, ed una distilleria d’eccezione: si va a casa di Daniel Baudin e Virginie Pouppeville, a Rivière Pilote, dove si distillano La Mauny, Trois Rivières e Duquesne.

Mi metto in marcia di buon’ora: ha piovuto brevemente e l’aria è odorosa di terra e di fiori. Non ricordando con precisione la strada, mi lascio guidare dal fantastico Google Maps, che mi cattura in un dedalo di magnifiche e terribili stradine attraverso la foresta, dove una piccola distrazione risulterebbe fatale, prima di reimmettermi sulla strada principale. Passo da Saint-Luce, nel vecchio sito Trois Rivieres, dove è rimasto il famoso mulino, il negozio con i prodotti, e la vecchia sede della distilleria, oggi adibita a luogo per le visite turistiche: due fotografie e mi dirigo verso Rivière-Pilote, sede della distilleria La Mauny, dove, dal 2002, si producono anche Trois Rivieres e Duquesne. Le colonne di distillazione, ed il savoir-faire legato a ciascun brand, sono stati completamente traslati nel nuovo sito.

La strada per la distilleria è agevole sino al centro abitato, poi gli strumenti elettronici mi abbandonano, ed un cartello capovolto mi fa sbagliare rotta: per fortuna con le indicazioni di Daniel in qualche minuto mi riporto nella giusta direzione.

Il sito di La Mauny è un grande complesso, circondato dalla foresta e da colline intere di canna da zucchero, maggiormente canne rouge, canne bleue, canne zikak, raccolte rigorosamente a mano: ovunque c’è ordine, organizzazione e una atmosfera di laborioso ma quieto vivere caraibico, una manna per lo spirito. La raccolta della canna da zucchero è evidentemente già iniziata: la stagione promette bene.

Daniel e Virginie mi aspettano nel ristorante interno al complesso: abbiamo deciso di non fare i “tecnici” e lasciar stare colonne e cuve di fermentazione, ed invece passare il tempo prezioso di chi non si vede che una volta l’anno davanti alla buona cucina e ad un buon vino che ho portato per loro. Il pomeriggio vola, e facciamo un salto nello chais con Daniel che, per me, e non solo per me, visti i recenti successi, è uno dei più grandi éleveurs di rhum al mondo. Lui e Virginie sono una coppia formidabile: lei gli consegna distillati complessi, polifonici, a volte estremamente sperimentali, di cui cura fermentazione e distillazione, spesso capolavori in nuce, e Daniel ne forgia il destino, trasformandoli in grandi rhum, con una personalità netta ed affascinante, sempre rispettando i connotati tipici che differenziano Trois Rivieres, La Mauny e Duquesne l’uno dall’altro.

Lo chais è il regno di Daniel, un regno in penombra, ordinatissimo e con un profumo magnifico, che avvolge tutti i sensi, non solo l’olfatto. La temperatura qui è gradevole, nonostante il caldo torrido ed il tasso di umidità piuttosto elevato che ristagnano nel sud di Martinica.

La degustazione è una scusa per raccogliere uno le opinioni dell’altro, come al solito, su prodotti vecchi e nuovi, e, magari nuove idee, ma, come sempre, Daniel conserva l’asso alla fine del mazzo, un prodotto nuovo, una sorpresa che mi fa fotografare e degustare, ma mi chiede di tener per me ancora un mesetto: si tratta del millésime, 1999, nella sua personale interpretazione (ve ne sono altri tre imbottigliamenti sul mercato, due mai usciti da Martinica): il rhum è, ovviamente, meraviglioso, cesellato, elegante, figlio di un invecchiamento sapientemente condotto. Non mi vien altro da dirgli se non “E’ una cattedrale, Daniel!”. Quando si parla di terroir nel rhum agricole, ecco, c’è, oltre alla canna da zucchero, alla stagionalità, al terreno, anche il fattore umano: il saper decidere del destino di una tipologia di canna da zucchero per trarne il meglio in distillazione e, una volta distillata, la gestione sapiente del magazzino e della botte, per tutti gli anni che servirà da vascello al distillato. E’ un lavoro continuo che necessita di una precisione e di una dedizione assolute, ancor più se si tratta di vesou, creatura delicata e sensibile.

Facciamo un salto in laboratorio, per conoscere quello che, ai fatti, è l’allievo di Daniel, e che lo succederà nella cura dello chais, Lionel Barrel, “naso in divenire” della distilleria, e degustare i distillati in uscita dalle colonne, oltre ad una deliziosa novità, che porterò a casa, gentile dono di Daniel e Virginie: il Ratafia, prodotto antico rispolverato a dovere, e molto duttile in degustazione e abbinamento. Si tratta di succo fresco di canna da zucchero, concentrato e mutizzato con rhum agricole La Mauny, a mantenere le caratteristiche di freschezza vegetale del vesou, ma anche il complesso equilibrio tra acidità e dolcezza del jus cuit: un eccellente compagno per una cucina sapida e, soprattutto, per formaggi stagionati ed erborinati, come avrò modo di provare a casa.

E’ difficile salutare Daniel e Virginie dopo un pomeriggio così, ma è ormai quasi buio, e le strade, sulla collina di Vauclin, non sono illuminate, perciò mi rimetto in macchina, rinunciando al navigatore: arrivo in tempo per la spesa e mi fermo sulla strada per rhum, lime, frutta, verdura ed un poulet boucané, specialità delle Antille che non gusto da più di un anno ormai: ho la cena per un po’ di sere, senza sapere che le passerò tutte in compagnia di Monique e Bernard.

Loro aspettano sempre, impazienti, il mio rientro e vogliono che racconti del rhum, delle distillerie e dei prodotti, e, più in generale, di me, di quello che faccio e di cosa scriverò: per ricambiare la loro ospitalità, ogni sera preparo qualcosa di veloce e appetitoso da mangiare, e apro per loro tutte le bottiglie che ho portato con me. L’ultimo giorno mi mostreranno che le hanno conservate su un ripiano della loro cucina, insieme ai tappi.

Per me, d’altro canto, rientrare e trovarli che mi aspettano, dopo intere giornate in auto e lontano da casa, è un conforto ed una gioia.

I miei piani mi portano, per il martedì, a nord dell’isola, verso la distilleria JM, a Fond-Préville: sarà una giornata intensa, quindi alle otto del mattino, con le solite tre ore di sonno all’attivo ed il mio litro di the nello stomaco, mi metto in macchina. La giornata si preannuncia particolarmente calda: per fortuna si va a nord, dove il clima è mitigato da brume oceaniche, all’ombra della Montagna Pelée, ricoperta di foreste millenarie, che sembrano spezzare il caldo del Tropico.

La strada è lunga ma, negli ultimi tratti, verso la costa e tra i paesini di pescatori, meravigliosa. Sebbene sia presto, la vita pullula per le strade, tra piccoli mercati di frutta e pesce, signore in Madras e longilinei gentiluomini in bicicletta.

M’incuneo nel viottolo che porta verso la distilleria, parallelo al letto del fiume Roche: una stretta lingua d’asfalto, sulla quale si procede piano, e meglio così, perché lo spettacolo della conca che accoglie il rosso mattone dell’usine e della ciminiera tra il verde della foresta è magnifico.

JM è uno spettacolo, ma lo sapevo già: è che ogni volta ti stupisci. Era il 1912 quando Ernest Crassous de Médeuil acquistò la distilleria di Fonds Préville dalla famiglia di Jean-Marie Martin, che già nel 1845 aveva acquisito l’habitation con annessa sucrérie e distilleria, ed aveva coniato il marchio JM. Poi, nel 1914, Gustave, fratello di Ernest, e già proprietario dell’Habitation Bellevue, la rilevò e ne rilanciò le sorti, tra l’altro ripensando completamente, nel 1949, l’habitation e l’usine. Oggi i suoi eredi hanno portato avanti l’antica passione e tradizione del rhum agricole, rinnovando gli edifici, che, con la loro architettura contemporanea e armonica, s’inseriscono, come una meravigliosa creatura variopinta, nello scrigno verde della foresta di Macouba.

La distilleria, modernissima, è circondata dai propri campi di canna da zucchero, che si estendono sino alle pendici del vulcano, ed è rifornita di pura acqua sorgiva da una fonte sotterranea: la macchina a vapore, la ciminiera e due colonne di distillazione in rame fanno parte dell’antico equipaggiamento, oggi completato da cuve di fermentazione moderne, da una tonnellerie interna dove si segue il percorso vitale di una botte sino alla sua fine, e da due chais, di cui uno nel fondovalle, del 1980, ed uno dislocato fronte mare, del 1995, oltre ad una sala di degustazione sensoriale e ad uno shop con tutte le novità, i classici ed alcune “pépites”.

Dal 1996 anche JM entra in AOC, e dal 2002 è acquisita dal gruppo Bernard Hayot.

Mi accoglie una delle giovani e più promettenti leve della rhumerie Martiniquaise, Karine Lassalle, oggi deus-ex-machina della distilleria, di cui segue fermentazioni, distillazione, e messa a riposo in botte, con l’aiuto del vecchio Master Distiller, Nazaire Canatous, vera istituzione nel campo del rhum agricole, e per anni sovrano incontrastato delle colonne e degli chais d’invecchiamento, che oggi ha ceduto pian piano il passo a questa ragazza semplice e gentile, con gli occhi verdi che le si accendono, quando mi parla del suo lavoro.

La raccolta è anche qui già ben “démarrée”, e si effettua con mezzi meccanici: le varietà principali sono Canne Rouge, Canne Bleue e Canne Paille.  Karine mi guida attraverso le arterie della sua creatura, i mulini in piena attività, le 12 cuves di fermentazione che sprigionano aromi vegetali molto intensi, il personale intento alla pulizia e sistemazione delle botti, fino al cuore vero e proprio, le due colonne di distillazione, che sbucano dalla sommità del camino centrale: sono due grandi créole, di cui una, più antica, in rame a vista, l’altra incamiciata.

La fermentazione dura una media di 24 ore, con lieviti del genere saccaromyces, come da disciplinare, ma “allevati” per rispondere alle esigenze aromatiche ed estrattive di JM. I distillati, che Karine mi fa assaggiare in uscita dalle colonne, escono a circa 70% abv, e vengono destinati in parte al rhum bianco, a 50% e 55%, lentamente “brassato”, messo a riposo in acciaio per almeno 6 mesi e ridotto con l’acqua della sorgente, prima dell’imbottigliamento.

L’invecchiamento, che avviene nei due magazzini, si effettua perlopiù in barili di quercia bianca americana, per la quasi totalità ex-bourbon, ma oggi anche in quercia francese del Limousin: la capacità in botti è di circa 3500 unità, cui si aggiungono le foudres per l’assemblaggio delle cuvée, e le botti utilizzate per i finishing, tra cui ex-Cognac, ex-Calvados, ex-Armagnac: alla prova del tempo, i rhum JM sono considerati tra i più equilibrati per il rapporto armonico tra cessione del legno ed evaporazione. Siamo infatti nel luogo di Martinica probabilmente più favorevole, per via della posizione, soprattutto del secondo chais, affacciato sull’oceano, e della barriera creata dalla foresta pluviale, con il suo microclima umido, a tal punto che la parte degli angeli non si scosta mai molto dall’8%.

Ad oggi, il millesimo più antico residente ancora in botte è un 1999.

Al termine della visita, passiamo da un magnifico giardino botanico, con erbe officinali e fiori, pensato per rendere ancora più accogliente il tour dell’habitation, e Karine mi guida al banco degustazione per le ultime novità, tra le quali apprezzo particolarmente il Millésime 2002 ed il Multimillésime 2002 – 2007 – 2009.

Ci salutiamo sotto l’enorme mango che cresce davanti all’ingresso: è l’ora della pausa, e Karine, con i ragazzi della sua squadra, siederanno all’ombra per un panino veloce: durante la stagione di raccolta della canna da zucchero le giornate sono lunghe, i tempi sono compressi e si vive in estrema sinergia con l’usine.

Al ritorno, le strade basse e controsole di Macouba mi guidano, sonnecchianti, verso il centro dell’isola, nel caldo torrido che impone una pausa alle attività quotidiane: decido di fermarmi a Sainte Marie, per una visita veloce ad un’altra istituzione del rhum agricole, Saint-James.

Avevo scritto, tempo addietro, a Marc Sassier, dal 2002 enologo e guru di Saint-James e di tutta l’AOC Martinique: mi aveva detto di passare ma che non era sicuro di esserci: presumibilmente la raccolta della canna anche qui è già iniziata, e l’area di accesso alla distilleria è limitata. Il trenino che fa il tour dell’habitation non è in funzione. Devono essere giorni di trambusto, e non insisto nel cercarlo, ma mi dedico al Museo del Rhum e della canna da zucchero, che è parte delle attrattive di Saint-James, ed è un luogo meraviglioso per ogni amante del rhum agricole: il Museo si sviluppa sui due piani di una bellissima maison coloniale in legno, sulla destra rispetto alla distilleria, e l’ingresso è completamente gratuito. Sono ivi custoditi reperti scritti e librari, campioni di tipologie antiche di canna da zucchero, come la O’Tahiti, oltre ai magnifici alambicchi storici, dai piccoli discontinui di fine 1700, alle colonnes créoles dismesse, luccicanti nel loro rosso abito di rame: infatti una prima sucrerie ed attività di distillazione fu inaugurata nei pressi, a Trou Vaillant, da Padre Lefébure, già nel 1765, per produrre Tafia ad uso e consumo degli inglesi, così utilizzando, sin da quei tempi, un nome inglese per distinguere il prodotto, ma fu Paulin Lambert che nel 1882 ne registrò il marchio, curò la produzione, e più avanti, introdusse la famosa bouteille carrée, ancor oggi utilizzata. Saint-James, sopravvissuta alla Montagna Pelée, ed anzi, fautrice, insieme ad altri coraggiosi, della rinascita delle rhumeries martiniquaises, dai primi anni 70 del 1900 spostò la propria sede a Sainte-Marie, sulla strada principale, a filo della costa. I suoi 450ha di canna da zucchero provengono da diverse parcelle, tutte situate verso l’interno, sulle spalle della Montagna, in zone umide e fresche, per consentire una maturazione univoca e costante. I rhum vieux di Saint James sono contraddistinti dalla caratteristica nota di spezie, da quelle calde a quelle balsamiche, mentre i bianchi conservano una grande freschezza vegetale. Uno su tutti, il Coeur De Chauffe, viene ancora distillato in piccolo alambicco discontinuo, e per me rappresenta la vera liaison con il rhum z’habitants delle origini. Dopo aver goduto del museo, allo shop interno, ne porto via qualche bottiglia. Resta uno dei miei bianchi preferiti, 60% abv vestiti della dolcezza quasi di miele della canna da zucchero e della frutta bianca, resi profondi dalla sottile speziatura balsamica. Nello shop è in vendita tutta la gamma dei rhum prodotti a Sainte-Marie, incluse le edizioni di pregio dei vari marchi.

Dal 1997, anche il rhum J. Bally è tornato ad essere distillato presso Saint James, dopo una parentesi al gruppo Hayot, presso l’usine Du Simon: il processo di produzione è totalmente distinto per questo marchio, che conserva così la sua caratteristica morbidezza fruttata rispetto alla speziatura dei rhum Saint James.

Dal 2003 Saint James ed I suoi marchi sono parte del gruppo Bardinet – La Martiniquaise.

È ormai pomeriggio pieno, ed approfitto delle bancarelle di Sainte Marie per un po’ di frutta e pane. Le vie ed il litorale sono sonnacchiosi sotto il sole, ed invogliano a riposare: mi rimetto in auto per cercare un posto tranquillo dove sedermi e mangiare. Dall’interno mi sposto verso Trinité: mi viene in mente che c’è un luogo magico che vorrei tanto rivedere, Anse Tartane, non molto distante.

Tartane è un luogo dalla luce unica: vi si arriva percorrendo sino in fondo una stradina municipale che costeggia un lunghissimo litorale di sabbia scura, e porta ad una piccola distilleria abbandonata. Uno spazio silenzioso in cui mi guardano, attraverso un cancello arrugginito, la ruota della machine à vapeur, le cuves di fermentazione, i rulli e le pulegge dei moulins, e poi quella piccola colonne créole in rame, completamente verde ormai per l’ossidazione e la salsedine, al centro. Se chiudi gli occhi e ascolti, Tartane si anima: senti il fischio del vapore, il calore dei macchinari e le voci delle persone affaccendate: nulla o quasi è stato spostato da questo spazio della memoria. Resta un piccolo negozio a fianco, per la vendita dell’ancora esistente etichetta, oggi distillata presso l’usine di Sainte-Marie.

Questo è un buon luogo in cui riposare: stendo l’asciugamano e mi godo la luce del sole calante sull’ampio arco della baia. Riparto dopo un po’, alla volta di casa, per raccontare ai miei vecchietti la giornata.

L’indomani resterò nei pressi di Vauclin, per visitare una piccola distilleria indipendente.

Presso la zona detta Le Francois, monsieur Yves Assier De Pompignan, famiglia di Montpellier ma dalle antiche origini martinicane, nel 2006, ristruttura completamente l’Habitation Du Simon, un’antica dimora coloniale, col progetto di dar vita ad una nuova distilleria che segnasse un ritorno alle origini per il rhum agricole. Dopo varie peripezie, nel 2010 Assier inizia ad invecchiare rhum agricole all’habitation, ma è solo dal 31 Dicembre del 2015 che può finalmente a distillare il proprio rhum, che, un anno dopo, ho la fortuna di assaggiare al Rhum Fest di Parigi.

La piccola distilleria, che si rifornisce di canna da zucchero completamente naturale dai propri appezzamenti e da parcelle di produttori privati, spesso dando risalto a varietà antiche e dimenticate, sempre raccolte a mano e pressate in poche ore, inizialmente può contare sul savoir faire in distillazione ed invecchiamento di Stephanie Dufour, altra ragazza molto in gamba nel giro delle distillerie Martinicane, che, da un’annetto a questa parte, ha lasciato La Perle, e la rincontrerò l’indomani, a sorpresa.

L’alambicco, per scelta, è discontinuo, un piccolo charentais con colonna di rettifica a sette piatti, affettuosamente chiamato “La Belle Aline”: i rhum bianchi sono imbottigliati al grado di uscita dell’alambicco, e sono tutti interessanti, fedeli ad un concetto, quello di “terroir”, che qui viene perfettamente interpretato ed esaltato.

L’Habitation è magnifica, dagli esterni, rinfrescati da un meraviglioso giardino, alle sale interne, dove ogni stanza è stata egregiamente recuperata con materiali locali. L’accoglienza è calorosa: Stéphane mi guida, insieme ad un piccolo gruppo di appassionati, tra i campi di proprietà, il piccolo moulin, la sala di fermentazione, che conta due cuves a temperatura controllata, e distillazione, con La Belle Aline che luccica nella penombra: ne assaggiamo un distillato in uscita, a circa 60,8% ABV, complesso, estremamente vegetale, con un tocco quasi di salamoia d’oliva. Pur essendo famosa per i bianchi di gran carattere, La Perle distribuisce anche rhum invecchiati, i primi non distillati presso l’habitation, ma l’ultima creatura di Stephanie è il primo rhum vieux distillato ed invecchiato in loco. Si chiama Cheval Bondieu, e lo assaggerò più tardi.

Una piccola parte della bottaia si trova nella stessa stanza dove si distilla, ma la maggioranza dei fusti, quasi tutti di rovere francese, tra tonneaux e futs, si trova in un apposito chais che, per scelta, è stato posizionato in controvento, sotto la montagna di Vauclin, per poter godere, nel caldo torrido e fermo, delle brezze in discesa dalla montagna: lo chais è completamente esposto alle intemperie ed alla pioggia, ma questo serve, ancora una volta, a temperare l’effetto essicante e di evaporazione dai fusti. La parte degli angeli, infatti, qui, è consistente, e spesso travalica il 10%. Anche i rhum bianchi riposano in acciaio almeno 6 mesi prima della messa in bottiglia.

Le operazioni di imbottigliamento, ceratura ed etichettatura avvengono manualmente, e sempre sul posto. Dopo i saluti al personale in opera, intento a far partire la nuova campagna nel modo migliore possibile, ci spostiamo nella frescura della sala degustazione.

Siamo nel “salone dei ricevimenti” dell’habitation, intorno ad un magnifico ed enorme tavolo, e Stéphane ci guida attraverso l’assaggio di alcune meraviglie, tra cui Cheval Bondieu, primo invecchiamento ufficiale di la Perle, ed ultimo nato di Steph: un assemblaggio di rhums vieux invecchiati tra i 18 ed i 36 mesi in quercia francese ed americana, contraddistinto da una grande eleganza, che riesce a preservare, sotto la coltre delle note boisé e speziate, la freschezza vegetale della canna da zucchero, che gli dona una grande energia. I 48% abv interpretano a perfezione finezza e carattere. Cheval Bondieu è l’insetto stecco, detto anche Phasme, animale mitico per i martinicani, che s’incontra di frequente nelle piantagioni, e che, come questo rhum, è sottile e forte, ben mimetizzato nel suo ambiente.

E’ uno dei rhum che decido di portare con me in Italia, ed approfitto del prezzo di distilleria. Qualche chiacchiera finale con Stéphane mi fa capire che c’è del fermento in Martinica: si prevede la nascita, entro il prossimo anno, di quattro nuove distillerie che contano di lavorare con alambicchi discontinui.

Forse è la nouvelle vague inaugurata da La Perle, e di qualcosa avevo già avuto sentore, ma certo è una bella rivoluzione per il mondo del rhum regolamentato: La Perle, e queste nuove distillerie, infatti, non sono ammesse in AOC, dove l’unico sistema di distillazione contemplato è la colonne créole e le fermentazioni devono essere a cuve aperta con lieviti della specie saccaromyces: ottima scusa per il prossimo viaggio!

Decido di passare il pomeriggio al mare, in relax, e mi dirigo verso Anse Figuier, una piccola unghia di sabbia bianca e ben tenuta, con tanta vegetazione. L’ideale per non stare troppo sotto il sole cocente, leggere e mangiare qualcosa. Intorno a me ci sono famigliole che campeggiano con le amache, tanti bambini e qualche turista. È un luogo frequentato per lo più dai locali. Il primo bagno dopo mesi è bellissimo, l’acqua è turchese e trasparente, non troppo calda. Capito in mezzo ad un gruppetto che gioca a palla e mi diverto un po’ anche io. Il pomeriggio è assolato, e, alla fine dei giochi, mi addormento all’ombra, sull’asciugamano. Rientro che fa quasi buio, accolta dal gracidare delle grenouilles e dal profumo dei fiori del giardino di Bernard.

Dopo una giornata rilassante, mi aspetta un bel tour de force: è già giovedì, ed ho appuntamento alla distilleria La Favorite per le 10.00. Arrivo puntuale nonostante il traffico di Fort-De-France, sulla cui direttrice si trova l’usine: ad accogliermi, il sorriso di velluto di Emmanuelle Parent, responsabile marketing, export e sviluppo turistico della piccola indipendente di Martinica, ancora condotta dalla famiglia Dormoy, una delle preferite dai nerds e dagli appassionati di rhum agricole, e, per me, una delle distillerie del cuore.

Il tour parte dallo spiazzo esterno, dove una sorgente d’acqua, il fiume “La Jambette”, ben visibile, alimenta i mulini. La raccolta della canna da zucchero qui non è ancora iniziata: Emmanuelle mi spiega che partirà a breve, forse tra qualche giorno. Le parcelle, divise tra canne rouge, canne bleue, canne zikak, canne roseau, sono trattate completamente a mano anche qui, e si sviluppano su 62 ettari complessivi, rendendo La Favorite quasi completamente autonoma nel suo fabbisogno di canna da zucchero. Il restante 15 – 20% è ricercato presso piccoli planteurs indipendenti. La canna da zucchero fermenta in 10 vasche di inox completamente aperte per 48 – 72 ore, con lieviti saccaromyces selezionati per la resa in profilo aromatico, a dare circa 600.000 litri di rhum all’anno, di cui un buon 20% viene messo in invecchiamento. Oltre ai famosi bianchi base e parcellari (Coeur Canne, Authentique, Rivière Bel’Air, La Digue), infatti, dagli anni 70 la Favorite imbottiglia un rhum millesimato molto famoso e molto “piratesco”, la “Cuvée de la Filibuste”, a tutt’oggi unica etichetta a beneficiare di un invecchiamento in fusti, la maggior parte ex-cognac, di ben 25 anni. L’imbottigliamento ora in vendita è infatti un 1994. Oltre a questa cuvée, sono disponibili gli invecchiamenti di linea, “Ambré” e “Coeur de Rhum” ed altri rhums vieux d’eccezione, come la cuvée Privilege pour Lulu, La brière de l’Isle, e l’Hors D’Age, senza dimenticare, tra i vecchi imbottigliamenti, l’affascinante Reserve Du Chateau, indimenticabile il 2000.

Insomma, quella percentuale di rhum in invecchiamento, è una percentuale composta da creature spesso eccezionali e fuori dal comune, delle quali qui si va particolarmente fieri. La distilleria, risalente alla metà dell’ottocento, è uno spazio d’aria introdotto da due archi in pietra, che si apre su un passerella sospesa sopra il cuore pulsante, e blu, della Favorite: una machine a vapeur Henri Mariol, fabbricata nel 1906 a Saint Quentin, che scatena, alimentata dalle caldaie a bagasse, da più di un secolo, i suoi 306 cavalli attraverso una serie di cardani, e trasmette ad una grande ruota, una forza lenta ed inesorabile di 60 giri al minuto, a muovere i mulini e le presse. Con la macchina in azione, il rumore all’interno della distilleria è notevole, ma, in questo momento, è ancora tutto nella fase dell’ultima manutenzione prima della campagna, e ci godiamo lo spettacolo di questo grande ingranaggio aperto sotto di noi.

A sinistra, di fronte alle cuves di fermentazione, campeggiano due grandi colonnes créoles in rame, di cui una incamiciata: il distillato uscirà a circa 70% abv, e sarà destinato, una volta ridotto con acqua demineralizzata, ai rhum blancs, agli ambré (passati in grandi foudres) ed ai vieux, invecchiati per lo più in botti di rovere ex cognac ed ex bourbon, in due chais adiacenti la distilleria, di cui uno, molto bello, con una parte ipogea. La part des anges si aggira anche qui intorno al 10% annuo, e si cerca, attraverso ouillage e spostamenti, di rendere fluida ed armonica la convivenza tra il rhum, il legno ed il tempo. Anche in questo caso, imbottigliamento, ceratura tappi ed etichettatura avvengono sur place.

Il tempo di fare qualche foto e ci spostiamo al bancone di degustazione dove mi attende una bella novità che ancora non è stata presentata, oltre ai consueti cavalli di battaglia: il millesime 2011, che uscirà come Brut De Fut, non ridotto, al momento misurato a 51,5% abv, da un blend di 30 botti ex bourbon ed ex cognac: un rhum denso e corposo, pur con una notevole energia ed un bel finale di mandorla e cera d’api a renderlo interessante.

Ringrazio Emmanuelle, e riprendo la strada dopo l’acquisto di un paio di bottiglie. Rotta verso la costa, dal lato di Carbet: alle 14 ho appuntamento presso la distillerie Depaz, proprio sotto la montagna Pelée.

Attraverso i sobborghi di Fort De France ed esco sulla litoranea, tra quartieri di pescatori, intenti a sistemare le reti sotto il sole, accanto ad un sottile nastro di sabbia vulcanica nera e brillante, mentre, sulla mia destra, si snoda la via principale di Saint Pierre: sullo sfondo, il gigante che nel 1902 la travolse facendo 30.000 vittime, con la sua spessa corona di nubi avvinghiate alla cima.

Depaz si annuncia come una creatura nobile ed altera, introdotta da una lunga fila di palme e da un ampio cortile perso nel verde, con gli enormi serbatoi in acciaio completamente a vista: l’ingresso, tipicamente kaz créole, introduce nel fresco di una grande sala degustazione con annesso shop. Attendo di essere ricevuta da Shirley Mathon, responsabile comunicazione presso Rhums Depaz e Dillon: farò il tour insieme ad una conoscenza del passato festival parigino, Guillaume De Roany, in quel momento ancora parte della compagnia di selezione e affinamento rhum “Frères De La Cote”, oggi passato a Tonnellerie Navarre, e ad un fotografo martinicano molto in gamba, del quale da allora seguo i lavori, Marc Escarguel.

Shirley non tarda ad arrivare, sorridente e solare, e ci presenta la nostra guida al sito storico ed allo Chateau, David.

Prendiamo un sentiero in salita e, alla fine di questo, è la storia di Martinica e del rhum agricole ad accoglierci: lo Chateau Depaz, meravigliosamente ristrutturato in ogni minimo dettaglio edilizio e botanico, ci guarda dalle sue finestre appollaiate sulla vista meravigliosa dell’oceano, che brilla alle nostre spalle.

L’antica Habitation risale al 1651, e fu una importante tenuta agricola inizialmente appartenente ai governatori dell’isola: sorgeva su suolo fertile, alle pendici della Montagna Pelée, e ospitava piantagioni di tabacco ed indaco, oltre a capi di bestiame al pascolo. Solo successivamente, a metà ottocento, si sviluppò la coltivazione della canna da zucchero che qui crebbe rigogliosa, e si distillò rhum, affinandone sempre più la tecnica, all’epoca della famiglia Depaz, che, insieme ad altre famiglie di imprenditori, fece di Saint-Pierre “La piccola Parigi delle Antille”. A fine ottocento l’habitation e la città conobbero il loro massimo splendore: il porto di Saint-Pierre esportava rum in tutta Europa. Poi arrivò l’8 maggio 1902 e la città di Saint Pierre, che non si volle evacuare nonostante le avvisaglie del vulcano, fu cancellata dalla mappa terrestre.

Victor Depaz, allora studente a Bordeaux, seppe del disastro e della scomparsa di tutta la sua famiglia: orfano ed improvvisamente povero, decise di emigrare in Canada, non prima di far visita alle rovine della sua casa natale: comprese, durante quella visita, che il suo destino era di restare in Martinica e ricostruire.

Nel 1917, esattamente l’8 di Maggio, fondò una nuova distilleria, ed un nuovo futuro per Depaz, dove erano state la morte e la distruzione. Lo Chateau che stiamo visitando è lo stesso dove Victor si stabilì a partire dal 1922 con la moglie e gli 11 figli, e da dove mosse i suoi primi passi nel mondo del rhum, uno spazio che lui aveva riprodotto esattamente come l’abitazione della sua infanzia: la sala da pranzo, i salottini, il fumoir, il suo studio e persino la sua cassaforte sono perfettamente accessibili, e presto lo saranno anche le camere al piano superiore dell’habitation. Grazie a Victor, nello stesso 1922, i rum Depaz ottennero la loro prima medaglia a Marsiglia, ma questo fu solo l’inizio. Oggi la distilleria può contare su circa 400 ha di canna da zucchero coltivata sulle pendici del vulcano, in pieno sole, accarezzata dalla brezza oceanica. La varietà principale è la canne bleue. La distilleria può contare su una sorgente di acqua pura, e sulle brezze e l’umidità dell’oceano che mitigano parzialmente la parte degli angeli.

L’occhio fotografico di Marc ha di che perdersi nei dettagli delle modanature dei mobili d’epoca, nelle stampe appese alle pareti e nei meravigliosi fiori e giochi d’acqua del giardino botanico che si apre oltre il portico posteriore. Per un attimo abbiamo avuto tutti l’impressione di essere sospesi nel tempo, e, mentre scendiamo verso la distilleria, sembriamo uscire da un’altra dimensione: ad accoglierci qui è una vecchia conoscenza, Stephanie Dufour, l’autrice del primo ciclo vitale della distillerie La Perle, colei che lì si occupava di distillazione e invecchiamenti: anche qui Stephanie, golden girl del rhum, appena entrata, è pronta a dar manforte con la sua competenza e la sua duttilità, sia in distillazione che nella fase di messa a riposo.

Ci spiega brevemente i passaggi fondamentali della produzione chez Depaz e Dillon: quattro moderni mulini spremono una canna che raggiunge un grado di maturità sempre eccezionale, grazie al suolo vulcanico, giovane e leggero, all’eccezionale esposizione, ed alla pluviometria abbondante. Questi mulini hanno soppiantato l’antico macchinario a trazione animale, ancora visibile in loco, mentre la machine à vapeur è quella originale del 1922, alimentata a bagasse e costantemente manutenuta, per dare energia a tutta la filiera. Il succo spremuto viene filtrato e stoccato in 12 grandi cuves di fermentazione da 30.000 litri, in cui si svilupperà un processo che dura 48h, per arrivare ad un vin de canne che titola circa 4,5% ABV. Questo viene distillato in 3 colonnes créoles, una delle quali una completamente dedicata ai rhum Dillon, marchio acquisito dal gruppo Martiniquaise, come Depaz, nel 1993. Il rum distillato ha un titolo intorno ai 72% ABV. Viene poi messo a riposo in acciaio per almeno sei mesi, nel caso dei rhum bianchi, e brassato con acqua di sorgente per la riduzione in grado, oppure messo a riposo in botti e tonneaux di rovere americano e francese, sia nuove che usate. Steph come sempre è tecnica ma coinvolgente, adoro le espressioni buffe del suo viso mentre parla del lavoro, e so bene che il carattere allegro e scanzonato che la contraddistingue è parte della sua grande forza. Ci viene preparato un tavolo di degustazione speciale, all’esterno degli chais, che non è possibile visitare al momento, ma che sono dotati di pareti parzialmente a vetro, con le botti ben visibili: un quadro eccezionale, sotto la mitica campana di bronzo dell’habitation, per assaporare, circondati di storia, i rhum, tra cui resto positivamente colpita dall’Hors D’Age 2002, fine e setoso, un intreccio di frutta tropicale in marmellata, mandorle e cioccolato al sale, e dalla finezza del bianco chiamato Cuvée de la Montagne, che poi porterò via con me.

Il tempo è passato velocissimo, ma noi non ce ne siamo accorti: qualche foto, e lasciamo Depaz, sotto lo sguardo arcigno della Montagna Pelée che questa volta svela la sua cima. Secondo una leggenda locale, chi la vede nuda sino alla sommità farà certamente ritorno in Martinica.

Avendo bevuto qualcosina in più, mi affido, per il ritorno, a Google, cosa di cui mi pento subito dopo: nell’intento di farmi risparmiare strada e traffico, mi spedisce attraverso la foresta, sempre più su per le pendici della Montagna: davanti a me c’è un’altra auto per un po’, ma poi svolta, ed io mi ritrovo da sola in mezzo a quel verde infinito. All’inizio, come al solito, sono contenta ed eccitata: c’è una forte umidità, ed alberi immensi che accarezzano la strada con le loro liane, fiori bellissimi e tutti i suoni della natura ad accompagnarmi: viaggio con i finestrini aperti e mi godo questa solitudine meravigliosa, fino a che non piomba sul mio parabrezza un ragno molto grande, nero e peloso, che cerca tranquillo un appiglio tra il tergicristalli ed il parabrezza, spostandosi gradualmente. D’istinto chiudo subito i finestrini, sperando che in macchina non siano entrati i fratelli e proseguo. Il navigatore a questo punto non ha più segnale e la strada diventa un sentiero ad una sola corsia. Nessuna indicazione. Proseguo ancora, ma comincio a non essere tranquilla, soprattutto perché sta arrivando il buio e non c’è illuminazione di nessun tipo a parte i miei fari. Per fortuna arrivo ad un bivio con quella che sembra una strada più grande, e asfaltata. Mi dirigo verso la parte in discesa, il navigatore è ancora out of reach, e mi ritrovo, dopo un’ora di vagabondaggio, in un dedalo di stradine che sembrano la suburbia della capitale, e probabilmente è così: polli e mucche mi attraversano la strada, tra casupole di pietra e baracche di legno, e Google, che nel frattempo si è riacceso, mi sta facendo tornare verso la foresta. Lo spengo e seguo il mio senso dell’orientamento che mi porta, dopo un’altra ora di strade distrettuali, sulla strada nazionale N1: ancora poco e sono a casa. Sono ormai le 21 ed è buio pesto sulla collina. Monique e Bernard sono contenti di vedermi riapparire, si erano preoccupati: mi hanno preparato la cena, pesce pescato da Bernard. Ho una fame da lupi. Quella notte dormirò un sonno profondo e ristoratore.

La mia settimana sta volgendo al termine ormai: è già venerdì, ed ho appuntamento a Gros-Morne, alle 10 di mattina, per la visita ad Habitation Saint-Etienne, l’ultima programmata in anticipo: mi metto in macchina ancora un po’ assonnata, avrei dormito un’ora in più. La bella giornata mi mette buonumore, e mi fermo a prendere un caffè dal benzinaio di Francois, poi mi rimetto in strada: Gros-Morne è nel cuore verde di Martinica, dove inizia la foresta e la montagna affonda le sue pendici. E’ un luogo dalla pluviometria singolare, dove un temporale può sorprendere anche da un minuto all’altro, senza preavviso, e per questo, anche la canna da zucchero proveniente da questa zona, ha caratteristiche di grande freschezza, raggiungendo la maturazione più lentamente.

Habitation Saint Etienne mi accoglie con i fasti di un meraviglioso giardino botanico d’altri tempi: alte palme mi guidano agli edifici principali, e fiori di ogni foggia mi distraggono lo sguardo. L’ordine e l’armonia regnano sovrani in questo angolo di paradiso ben organizzato: seguo le indicazioni per il parcheggio, mentre, nello stesso cortile dove lascio l’auto, il personale è intento alle quotidiane attività di magazzino.

Il sorriso di Sophie Pichavant, responsabile dello sviluppo turistico di HSE, mi da il benvenuto ufficiale: sarà lei, con il suo garbo e la sua precisione, a guidarmi attraverso il magnifico parco che circonda l’Habitation, oggi classificato “Jardin Remarquable” per il patrimonio culturale francese, attraversato dal fiume Lézard che caratterizza ancor più, offrendo sostentamento liquido alla vegetazione spontanea, un terroir già unico per la canna da zucchero e l’invecchiamento del rhum.

Nel parco sono esposte opere d’arte di autori contemporanei, in completa sintonia con le forme ed i colori della natura. Mentre ci perdiamo, ombrello alla mano, tra le meraviglie del giardino e, in seguito, dell’habitation, si parla della storia di HSE: Saint-Etienne fu costruita sulle fondamenta di “La Maugée”, una sucrérie i cui terreni si estendevano all’inizio del XIX secolo per oltre 400 ettari, da Gros-Morne a Saint-Joseph. Nel 1882 la proprietà fu acquistata da Amédée Aubéry, un giovane capitano d’industria che sarebbe diventato una delle figure emblematiche dell’economia martinicana. Egli trasformò la sucrérie in una distilleria di rhum agricole e modernizzò gli edifici ed i cortili in funzione di questo, installando persino rotaie per agevolare il trasporto della canna da zucchero, ancora visibili. L’energia idraulica era fornita dal fiume Lézarde attraverso un canale di pietra che oggi attraversa il giardino. Nel 1909 la proprietà passò nelle mani della famiglia Simonnet, che sviluppò l’attività di distilleria fino al suo declino, a fine anni ‘80. L’habitation, infine, è stata acquisita nel 1994 da Yves e José Hayot, che, con grande lungimiranza ed amore per il patrimonio, rilanciarono il marchio HSE ed iniziarono l’opera di restauro e valorizzazione di questo incredibile complesso: la grande casa, i magazzini ausiliari e l’edificio della distilleria, non più in funzione ma perfettamente conservati in tutte le loro parti, sono una tra le più belle testimonianze di architettura industriale martinicana del XIX secolo.

Oggi il rhum a marchio HSE viene distillato presso l’usine Du Simon, ma non è detto che, in futuro, non si ritorni a distillare presso l’habitation, recuperandone così completamente aspetto e funzioni originarie. La sala di distillazione è ancora nel punto dove si trovava, con i macchinari ben visibili, eccetto la piccola e bellissima colonna in rame, che è stata posta all’esterno, per poter meglio essere osservata. Gli chais d’invecchiamento invece sono tutti sur place: sia gli edifici che la distilleria, dal 2010, sono protetti come monumenti storici.

La canna da zucchero, particolarmente qualitativa, conta, oltre alle tipologie comuni nell’isola, anche la famosa “canne d’or”, fine, succosa e delicata, dalla quale si distilla un eccellente bianco a 50% abv, ottimo in punch o da solo: la raccolta avviene parzialmente a mano, e nei punti ove possibile, con mezzi meccanici. La produzione prevede rhum bianchi a 40, 50 e 55%abv, per caratteristica peculiare sempre affinati in acciaio, per alcune cuvée speciali persino due anni, a conferire complessità aromatica e larghezza, ESB passati in foudres per almeno 12 mesi, come prevede l’AOC, ed i classici invecchiamenti a partire dai 3 anni del vieux, che avvengono tutti a Gros-Morne, beneficiando della pluviometria singolare e del clima umido, grazie anche alla presenza del fiume, a mitigare la parte degli angeli, che qui riesce a scendere sotto il 10% annuo: il punto di forza di HSE infatti, sia per i bianchi che per i vieux, è l’affinamento che, nei casi classici, avviene per lo più in barili ex-bourbon e foudres, ma grande lustro hanno portato, negli ultimi anni, le cosidette “finitions”, ovvero passaggi, più o meno brevi, del rhum che ha già subito un invecchiamento base, in botti che hanno contenuto precedentemente vini o altri distillati. In questo affascinante mondo, per il momento giocato fuori AOC, in cui HSE è maestra assoluta, troviamo rhum affinati in botti ex Bordeaux, ex Whisky o ex Whisky torbato, ex Porto, ex Oloroso o ex Pedro Ximenez, solo per citarne qualcuna.

Sophie mi guida attraverso i prodotti più significativi, con qualche deviazione sulle novità, ed i miei coup de coeur sono sicuramente i due bianchi Cuvée de l’An 2016 e Parcellaire Canne D’Or, entrambi da small batch, a 50% abv, ed affinati due anni in acciaio, elegantissimi, verticali, quasi sprecati in punch; tra i vieux classici debbo dire che il Black Sheriff, con la sua nota fumosa, resta il mio rhum per un twist sull’old fashioned, mentre tra gli invecchiamenti particolari, lo Small Cask, invecchiato in fusti da 55lt di quercia del Limousin mi ha stupito per ricchezza aromatica ed impatto “calibrato” del legno. Tra le finition, ma questa non è una novità, il mio debole è per “La Tour Blanche”, un vieux finito in botti ex-sauternes dell’omonimo e celeberrimo Chateau.

La degustazione potrebbe continuare all’infinito, ma debbo riprendere la strada. Sophie, con grande generosità, mi ha infatti messo a disposizione qualsiasi prodotto suscitasse la mia curiosità: di questo debbo ringraziare il buon Cyril Lawson, direttore commerciale e “black sheriff” in pectore della rum family mondiale, che mi ha organizzato un momento davvero fuori dal comune.

Saluto Sophie ed i ragazzi al lavoro, e mi dirigo verso Carbet, per un pranzo rilassato: è il penultimo giorno e mi godo una delle migliori tavole di Martinica, “Le Petibonum”, grazie al consiglio di un altro grande monsieur del rhum mondiale, Jerry Gitany. Il tonno tataki qui è meraviglioso, ma soprattutto è meravigliosa la vista senza barriere sulla spiaggia nera di Carbet, e sul mare, che oggi è calmo e trasparente: il ristorante permette una buona privacy tra un emplacement e l’altro, e non ha fretta di far “girare i tavoli”, così mi posso godere con calma il pranzo, un buon punch e la brezza marina.

Approfitto del pomeriggio e del luogo per l’ultima visita, che dall’Italia non ero riuscita a concordare, quella a Neisson: provo ad entrare per vedere se c’è qualcuno disponibile per un veloce tour, ma sembra di no: conosco la distilleria, quindi effettuo io un piccolo sopralluogo fotografico: la raccolta della canna da zucchero qui non è ancora iniziata, e tutto tace in una sorta di attesa trasparente, in stile Neisson. La distilleria, anch’essa indipendente, è completamente aperta al pubblico, e le sue dimensioni ridotte ne fanno un piccolo gioiello di efficienza con una grande attenzione ai consumi ed all’impatto ambientale, che, in ogni caso, in Martinica è un tema molto sentito, visti gli anni d’inquinamento del suolo prodotto dai diserbanti utilizzati per facilitare la coltivazione massiva delle banane.

La piccola Neisson, che data 1932, è guidata oggi da Claudine e da suo figlio Grégory, con rigore e nel rispetto integrale della natura, tanto che è stata iniziata, nel 2013, una conversione al biologico, ancora in fase di completamento, che ha permesso di offrire al mercato, nel 2016, il primo rum biologico AOC Martinique.

La canna da zucchero è coltivata per 40 ettari, di proprietà, nelle tradizionali varietà di Martinica, oltre ad una varietà eccezionale, che, a parte qui, è coltivata solamente ad Haiti oggi, la Canne Cristalline: canna da zucchero tra le più antiche, magra, dolcissima, dal gusto inconfondibile, che rende i rhum bianchi Neisson tra i più caratteristici e distinguibili. A tendere, tutte le coltivazioni saranno destinate a regime biologico. Anche in fatto di fermentazione, Neisson è pioniera, utilizzando i propri ceppi di lieviti indigeni, selezionati tra quelli naturalmente presenti sulle canne da zucchero della proprietà. La distillazione avviene grazie ad una magnifica Savalle, che ha la stessa età della distilleria: perfettamente visibile ai visitatori, la colonna luccica al sole, ed è pronta a svolgere il suo compito, dopo aver beneficiato di una evidente ed accurata manutenzione.

La produzione media annua è di 320.000 litri di rhum bianco, che viene stoccato in 16 tank di acciaio inossidabile. Il 10% sarà destinato all’invecchiamento, nelle fasi consuete di vieux, VSOP, XO e pregiati Hors D’Age e Millesimi.

Anche le botti sono a vista, e di vari legni e misure, tra cui un buon numero tonneaux, per permettere una gestione calibrata del distillato nel tempo: l’evaporazione deve essere un elemento piuttosto critico qui.

Faccio un salto in area degustazione per qualche assaggio (eccezionali Vieux e Profil 105), e porto via un paio di bianchi, oltre al sirop per il punch che trovo eccellente.

Saluto la ridente Carbet, con i suoi colori, i gatti, le reti e le case dei pescatori a ridosso del mare, e mi rimetto in strada: è l’ultima sera, e voglio tornare presto per preparare qualcosa di buono a Monique e Bernard.

Ceniamo alla luce di una piccola lampada da cambusa, in quel giardino quasi metafisico, dove i fiori sembrano vivere, di sera, una seconda vita, grazie al loro profumo, ed è qui che Monique mi comunica che il buon Bernard ha un grave problema di salute, presumibilmente un cancro al polmone. L’indomani mattina avrà l’esame definitivo, e decido che li accompagnerò. Bernard, come sempre, scherza, col suo fare da marinaio, e dice che il cancro ha già tentato tre volte di aver la meglio, ma lui lo ha sempre fregato. Mi dice che mi ha preparato i suoi peperoncini, ed i limoni, oltre a permettermi di cogliere qualche fiore da essiccare, e che l’indomani non dobbiamo pensare che partirò e che ci sarà l’esame, ma solo che vuole portare me e Monique al mercato delle spezie e fuori per il pranzo. La sua forza mi contagia, e cerco di non pensare alla tosse che spesso lo scuote: la mattina li accompagno, e, dopo il prelievo, andiamo al mercato delle spezie a Le Marin, dove acquisto qualche sacchettino di cannella e anice, mentre Bernard mi regala il cacao e le ciliegie “pays” da mettere nel punch. Pranziamo insieme in quel ristorantino sulla spiaggia dove ero stata la prima domenica: il tempo passa veloce, e vedo i loro occhi offuscarsi quando ce ne andiamo verso casa. La mia valigia è quasi pronta ormai, carica di rhum e delle buone cose del loro giardino: me li abbraccio forte uno dopo l’altro e poi insieme, per dimenticare il peso che mi sento sul cuore nel lasciarli.

Mi mettono in mano un sacchettino, e mi dicono che non dovrò aprirlo che sull’aereo: contiene un braccialettino ed una collanina, rosso e oro, che da quella sera indosserò sempre. Cerco di non voltarmi mentre esco dal viottolo di casa, abbiamo tutti gli occhi lucidi.

È tardo pomeriggio, ed il sole dispensa l’ultima scia d’oro sulla strada che mi guida all’aeroporto. Il mio volo è in orario, e sono contenta di tornare, ma inquieta per Bernard. Da quel momento, comunicheremo spesso via messaggio, e prometto di tornare quanto prima in Martinica.

Atterro in Italia dopo una lunga sosta a Orly, la sera della domenica: personale medico con tuta, guanti e mascherina mi fa attendere in una lunga fila e mi prova la febbre. È l’inizio di quattro lunghi mesi di paura e reclusione per l’Italia e per il mondo, durante i quali, per varie ragioni, ho trovato molto difficile scrivere.

Bernard, nello stesso tempo, viene ricoverato in Martinica e subirà un intervento demolitivo: nonostante tutto questo, mi tiene allegra via messaggio, mi chiede di mandargli fotografie, e mi fa forza. Penso di aver ricevuto da lui una delle più grandi lezioni di vita dei miei ultimi anni: poi, una sera di giugno, non ricevo risposta al mio consueto messaggio, e nemmeno il giorno dopo. Dentro di me so che c’è qualcosa che non va. Il mercoledì arriva una telefonata da Monique: Bernard ci ha lasciato due sere prima, poco dopo il mio messaggio. Mentre il mondo ripartiva lui se ne è andato così, in silenzio, apparentemente perdendo la sua battaglia, ma guadagnandosi uno spazio immutabile e meraviglioso come il suo giardino dentro di me.

Je remercie, avec ce ti morceau, mes loulous Monique et Bernard, toujours ensemble dans mon jardin idéal, et toutes les femmes et les hommes du rhum en Martinique, pour leur accueil formidable et leur amour pour un patrimoine naturel et culturel incroyable.

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